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soldati-francesi-wedi Enrico Piovesana - 25 gennaio 2012
Dopo la strage di soldati francesi ad opera di un militare afgano – voleva vendicare l’onta dei soldati Isaf americani che urinavano su cadaveri afgani – il presidente Sarkozy aveva minacciato il ritiro anticipato del contingente transalpino.


Una boutade elettorale (subito smentita dal ministro degli Esteri Alain Juppè) per non essere da meno del suo probabile successore all’Eliseo, François Hollande, che dall’Afghanistan vuole andarsene entro fine anno, e dalla pericolosa sfidante Marine Le Pen, che è per il ritiro immediato.

Al di là delle uscite del presidente uscente Sarkozy, se come indicano tutti i sondaggi sarà Hollande a vincere le elezioni presidenziali francesi del 22 aprile, Parigi avvierà subito il ritiro dall’Afghanistan dei suoi 3.600 soldati: quinto contingente Isaf come consistenza dopo americani, britannici, tedeschi e italiani.

La decisione unilaterale di un Paese membro della Nato di anticipare, per motivi politici o economici, il ritiro del proprio contingente nazionale rispetto alla scadenza ufficiale del 2014 non è un tabù.

Non lo è da quando lo infranse l’Olanda nel 2010, ritirando i suoi 2mila soldati nonostante il disappunto di Washington. E tantomeno lo è oggi, con una transizione di potere agli afgani già ben avviata e l’accettazione del ritorno dei talebani.

Perfino Karzai oggi dice che i contingenti Nato possono tranquillamente lasciare l’Afghanistan prima del 2014: “Se il processo viene accelerato e il ritiro avviene prima, non c’è problema. Noi siamo pronti”. Ha dichiarato in un’intervista al Corriere della Sera.

In Italia invece, che ci sia Berlusconi, Monti o chi per loro, la musica non cambia: parlare di ritiro anticipato rimane un’eresia, un atto di lesa maestà nei confronti degli Stati Uniti e della Nato.

A una domanda in merito rivoltagli nei giorni scorsi da Lucia Anunziata, il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola ha risposto: “No, nessun ritiro anticipato. L’Italia è in Afghanistan sotto mandato delle Nazioni unite, ha preso un impegno a Bonn e lo confermerà a Chicago, per continuare a sostenere la transizione. Siamo un Paese responsabile, siamo un grande Paese che onora gli impegni che concorre a prendere”.

Dieci anni di guerra in Afghanistan ci son costati finora, oltre che 42 soldati uccisi (e chissà quanti afgani), più di 3 miliardi e mezzo di euro, che diventeranno quasi 4 e mezzo con il rifinanziamento 2012 che il parlamento approverà a febbraio: 780 milioni, più di 2 milioni di euro al giorno.

Tratto da: eilmensile.it

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