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La crisi delle terre rare mostra quanto gli Stati Uniti dipendano da Pechino e perché la politica estera è stata ricalibrata. Pokrovsk nella sacca, la città è ormai prossima a cadere

Dopo il vertice con il leader cinese Xi Jinping, l’imprevedibile Donald Trump è tornato a mostrarsi arrendevole nella speranza di costringere Putin alla pace, secondo le condizioni occidentali.
Durante i negoziati con l’omologo del dragone, il tycoon è riuscito ad ottenere nulla più che una tregua temporanea sulla guerra commerciale, incapace di imporre leve negoziali su un’interruzione del sostegno di Pechino all’economia russa. 
Trump sa bene che l’industria americana rischiava di collassare a causa delle restrizioni cinesi sulle terre rare, entrate in vigore quando, l’11 ottobre, il leader americano aveva applicato dazi doganali del 100% su tutte le importazioni dalla Cina. Un giorno ricordato come il venerdì nero dove, in sole 24 ore, le borse americane hanno bruciato 1.500 miliardi di dollari di capitalizzazione in una delle perdite più drammatiche degli ultimi anni. 
Complessivamente le restrizioni cinesi hanno causato un'esplosione dei prezzi sul mercato americano, con aumenti di circa il 4000% rispetto ai livelli precedenti alla crisi, un incremento dirompente che ha generato spinte inflazionistiche settoriali con effetti a cascata sull'intera economia. Basti pensare che gli Stati Uniti si affidano alla Cina per circa il 70% delle importazioni di terre rare, e fino al 96% in alcuni settori, che comprendono l’Automotive, l’elettronica di consumo, fino all’industria militare. 
Ecco un assaggio del nuovo mondo multipolare. Dopo gli incontri di Busan, in Corea del Sud, Trump non è più lo stesso, conscio che il Make America Great Again era solo un abbaglio totalmente svincolato dalla realtà. 
Dunque sulla questione russa non si fa più illusioni sul fatto che attraverso le sanzioni, Putin possa cambiare rotta rispetto ai suoi obiettivi. 
"Abbiamo concordato che le parti sono bloccate. Stanno litigando e a volte bisogna lasciarle litigare, immagino. Pazzesco. Ma lui ci aiuterà e lavoreremo insieme sull'Ucraina", ha riferito oggi ai giornalisti, ridimensionando le sue precedenti valutazioni sulla presunta crisi militare russa, con perdite fino a 1 milione di uomini. 
Nonostante il Pentagono abbia recentemente approvato le forniture, Trump ha riconfermato il momentaneo rifiuto di fornire i missili Tomahawk all'Ucraina. "No, almeno per ora. Sì, potrei cambiare posizione, ma al momento no", ha dichiarato. 
Incalzato poi su quale sarebbe stata "la goccia che fa traboccare il vaso" per convincerlo che Mosca non intende porre fine alla guerra, ha risposto che “non c'è nessuna goccia che fa traboccare il vaso. A volte bisogna solo lasciare che gli eventi si sviluppino. Stanno combattendo, e combattono duramente. È una guerra difficile per Putin - molti soldati morti, forse circa un milione. È un numero enorme. E anche per l'Ucraina è dura. Per entrambe le parti. A volte bisogna permettere alla situazione di arrivare al limite, affinché tutti lo capiscano da soli". 


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Gli Stati Uniti effettueranno il primo lancio di un missile balistico dopo l'ordine di Trump

La tregua sarà solo temporanea. Dopo che Trump ha annunciato la ripresa dei test nucleari, gli Stati Uniti effettueranno il primo lancio di prova di un missile balistico Minuteman III con capacità, ovviamente, di trasportare una testata atomica.
Lo riporta il Newsweek, citando gli avvisi di navigazione, specificando che il lancio è previsto dalla base spaziale di Vandenberg in California verso il poligono di difesa missilistica Ronald Reagan sull'atollo di Kwajalein nelle isole Marshall. La traiettoria corrisponde a quella di un precedente test condotto a maggio, quando un missile disarmato ha sorvolato per circa 7.200 chilometri l'Oceano Pacifico. Secondo il Nuclear Information Project della Federation of American Scientists, l'aeronautica militare statunitense possiede circa 400 missili Minuteman III dislocati in silos in Colorado, Montana, Nebraska, North Dakota e Wyoming, con una gittata di oltre seimila miglia.


Sarà il Vecchio Continente a sponsorizzare la via della guerra

La palla passa ora in mano agli europei che tutto aspirano meno che ad una fine della guerra, dopo gli investimenti colossali che hanno diretto all’industria degli armamenti.
L'Ue ha fornito circa 173,5 miliardi di euro in sostegno totale all'Ucraina dall'inizio dell'invasione russa, superando persino gli Stati Uniti in termini di assistenza complessiva, sebbene rimanga indietro nel supporto militare. Il blocco si è inoltre impegnato a mobilitare ulteriori 800 miliardi di euro attraverso il piano "ReArm Europe", con l'obiettivo di raggiungere il nuovo target della NATO del 5% del PIL entro il 2035.
Ovviamente i profitti delle aziende di difesa sono esplosi. Rheinmetall, il colosso tedesco degli armamenti, ha visto il prezzo delle sue azioni salire di oltre il 1.000% dall'invasione russa dell'Ucraina nel 2022. L'azienda ha registrato ricavi totali di 9,8 miliardi di euro nel 2024, con un aumento del 36% rispetto al 2023, e un portafoglio ordini record di 55 miliardi di euro. Le sei principali aziende tedesche del settore difesa hanno registrato una crescita combinata del 16% annuo nel periodo 2020-2024. 
Gli stessi leader europei sono i migliori lobbisti dell’industria delle armi. Basti pensare alla presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen, in precedenza Ministro della Difesa tedesco (2014-2018), in un mandato segnato da polemiche sui contratti miliardari assegnati a consulenti esterni senza adeguata supervisione. Un comitato investigativo del Parlamento tedesco aveva indagato su come questi contratti lucrativi fossero stati assegnati, sollevando interrogativi su una rete di connessioni personali informali che facilitava tali accordi.​
Significativamente, dopo essere diventata Presidente della Commissione Europea, la von der Leyen ha promosso aggressivamente l'espansione dell'industria della difesa europea, sostenendo il principio che l'Europa debba spendere "di più, meglio e in modo europeo" sulla difesa.  


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Non a caso, l’Europa si prepara a scendere in campo per sostenere un’Ucraina prossima al collasso. Secondo l’intelligence russa, Parigi starebbe predisponendo l’invio di circa duemila soldati, principalmente unità d’assalto della Legione Straniera, già presenti in Polonia per addestramenti intensivi. Ma non si tratta più solo di indiscrezioni: l’ex capo di Stato Maggiore francese, Pierre Schill, ha confermato che Parigi è pronta a schierare forze militari “nel quadro delle garanzie di sicurezza” a favore di Kiev, in un contesto europeo di riarmo e nuove coalizioni. Il suo successore, Fabien Mandon, avverte che l’Europa deve prepararsi a un possibile scontro con la Russia entro tre o quattro anni, spingendo per un’accelerazione del riarmo continentale.  


Pokrovsk nella sacca, la città è ormai prossima a cadere

Nel frattempo, la situazione militare a Pokrovsk e Mirnograd è sempre più vicina al collasso. L'ex viceministro della Difesa ucraino Vitalij Deinega ha lanciato un allarme urgente sulla necessità di evacuare le truppe da queste posizioni strategiche, sottolineando come il proseguimento della resistenza comporterebbe perdite umane e materiali insostenibili. 
Le forze russe hanno consolidato un accerchiamento tattico particolarmente efficace intorno alle due città della regione di Donetsk. L'accerchiamento operativo raggiunge una profondità di circa 10 chilometri, mentre il "collo di bottiglia" che consentirebbe l'evacuazione misura meno di 5 chilometri e risulta completamente esposto al fuoco controllato dall'artiglieria e dai droni russi. Questa configurazione geometrica crea una situazione profondamente precaria per le forze ucraine intrappolate.​ 
Secondo le stime disponibili, tra i 3.000 e i 10.000 soldati ucraini rimangono all'interno di Pokrovsk e Mirnograd, circondati da una morsa militare dalla quale le vie di fuga risultano controllate dal fuoco nemico. Tutte le rotte di rifornimento e di evacuazione sono sottoposte a pressione costante dai sistemi d'arma russi.​ 
"Se nei prossimi giorni qualcuno non firmerà l'ordine di ritirare le truppe da Pokrovsk e Mirnograd, potremmo trovarci in una situazione in cui non solo perderemo un numero significativo di paracadutisti e marines altamente motivati (per non parlare dei beni per centinaia di milioni — sono già persi e non ci sono più possibilità di evacuarli). Potremmo trovarci in una situazione in cui non ci sarà nessuno a tappare il buco nel fronte, e le fortificazioni scavate nel nostro retro passeranno rapidamente al nemico", ha dichiarato l'ex viceministro della Difesa Vitalij Deinega.
Anche il presidente Zelensky ha dovuto riconoscere indirettamente la gravità della situazione, ammettendo che circa il 30 percento di tutti i combattimenti sul fronte ucraino avviene nell'area di Pokrovsk, richiedendo l'impiego del 50 percento delle risorse di bombe aeree guidate impiegate dalla Russia.​ 
Nella prima settimana di novembre, l'Ucraina ha lanciato una serie di operazioni sempre più audaci nel tentativo di alterare la situazione tattica a favore. Il 31 ottobre, il servizio di intelligence militare ucraino (GUR) ha tentato una disperata operazione di infiltrazione, lanciando un gruppo di forze speciali da un elicottero Black Hawk vicino alla città assediata. Secondo il governo russo, tutte le 11 persone sbarcate sono state neutralizzate. 
Parallelamente, il comando ucraino ha annunciato di aver compiuto progressi di 2,5-3 chilometri nella direzione di Dobropillya, la quale rappresenta un'altra zona critica di battaglia, ma anche su questo punto, il leader ucraino ha dovuto ammettere che la Russia sta preparando una "vendetta" concentrando truppe in quella direzione dopo aver perso l'iniziativa.​ 
Pokrovsk è un importante crocevia ferroviario e stradale nell’area orientale dell’Ucraina, situata sull’incrocio di diverse direttrici fondamentali per il trasporto di rifornimenti, truppe e materiale bellico verso il fronte orientale. Il controllo russo della città fornirebbe un trampolino per operazioni verso città strategiche come Kramatorsk, Sloviansk e addirittura Dnipro e Zaporizhzhia, con la possibilità di tagliare le vie di rifornimento e isolare altre roccaforti ucraine. 

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