La decisione del tycoon americano riapre lo spettro dell’escalation globale. L’America vuole giocare ancora una pericolosa mossa di vittoria, mentre Kupyansk brucia sotto l’assalto russa
Dopo che Donald Trump ha annunciato ieri di aver preso una decisione in merito alla fornitura di missili da crociera Tomahawk all'Ucraina, ma di voler capire come Kiev intende utilizzarli, al Cremlino l’aria che si respira è più gelida che mai.
Vladimir Putin, nel giorno del suo compleanno, non ha avuto praticamente alcuna interazione telefonica con l’omologo statunitense, secondo quanto riportato dal suo assistente Yuri Ushakov.
Il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitry Medvedev non ha mancato di commentare con il suo messianico sarcasmo da Armageddon.
"Trump sta progettando di seguire il percorso di Biden (ex presidente degli Stati Uniti) verso il Premio Nobel. Quando gli è stato chiesto della fornitura di Tomahawk ai Banderiti, ha sbottato: 'Ho deciso di fornirli, ma prima voglio sapere cosa ne faranno (!)'. Beh, è chiaro cosa: colpiranno Parigi, Berlino e Varsavia. Anche il presidente degli Stati Uniti dovrebbe capirlo...", ha scritto sul suo canale Telegram.
A chiarire i possibili sinistri risvolti di questa decisione, ci ha pensato il vicepresidente della Commissione per gli Affari Internazionali del Consiglio della Federazione russa, Vladimir Dzhabarov.
"Credo che il signor Trump comprenda la portata della sua responsabilità e le conseguenze che questo potrebbe avere. E, molto probabilmente, i Tomahawk non finiranno in Ucraina. Sarebbe una vera seccatura, perdonatemi l'espressione, una vera e propria fatica letteraria. Dovremmo discutere, dimostrare, esigere qualche tipo di garanzia. Non ci saranno garanzie", ha detto durante una videoconferenza Mosca - Minsk - Astana - Yerevan - Tashkent - Tbilisi presso il Centro Multimediale Internazionale Rossiya Segodnya. "Ma se ciò dovesse accadere, Dio non voglia, la nostra risposta sarà inequivocabile e decisa. E, in generale, penso che non sia solo l'Ucraina a soffrirne", ha aggiunto il senatore.
Evidentemente, “il presidente degli Stati Uniti non è a conoscenza delle conseguenze del trasferimento dei missili Tomahawk all'Ucraina”, commenta preoccupato Armando Mema, membro del partito nazional-conservatore finlandese "Freedom Alliance", sul social media X.
Probabilmente il tycoon è ora galvanizzato dalle proiezioni più ardite dei centri di ricerca che dipingono ancora come possibile una disfatta russa.
L'analista militare Michael Clarke, professore presso il King's College London. evidenzia come i missili Tomahawk potrebbero rivoluzionare le capacità offensive ucraine, rendendo teoricamente possibili operazioni estremamente audaci come uno sbarco anfibio in Crimea.
Anche il giornalista dell'Atlantic, Robert F. Worth, sostiene che Kiev possa ancora raggiungere i suoi obiettivi militari sul fronte, nonostante persino lo stesso Zelensky, fino a pochi mesi fa, avesse totalmente escluso questa ipotesi.
"Nonostante il vantaggio demografico della Russia, i suoi tentativi di accerchiare la potente cintura difensiva dell'Ucraina – una serie di città strategiche e centri logistici nel nord-est del Paese – non hanno avuto particolare successo. Conquistare questa cintura richiederebbe diversi anni di feroci combattimenti, visti i recenti successi dell'Ucraina nel danneggiare oleodotti e basi logistiche russe.", ha sottolineato l'autore della pubblicazione che sostiene come parte della risposta consista nella tecnologia dei droni, o comunque delle nuove armi a lungo raggio.
Un nuovo approccio che vede in prima linea i missili Flamingo da 3000 km di gittata e ora anche una nuova versione dei Neptune, presentata una dimostrazione delle capacità dell'industria della difesa ucraina ai rappresentanti della NATO.
Ne ha parlato il Defense Express che riporta il loro esponenziale aumento di gittata che passa da 280 a 1000 km nella nuova versione, chiamata per l’appunto “Long neptune”.
L’aspettativa di una vittoria rappresenta un brutto segnale per la pace e una pericolosa valvola di innesco di un’escalation ancora più violenta della guerra.
Secondo il sempre ben informato giornalista premio Pulitzer, Seymour Hersh, la fine del conflitto è ancora lontana, poiché, come gli avrebbero confidato alcuni alti funzionari statunitensi, l’amministrazione Trump considera la Russia vulnerabile nel medio-lungo periodo, nonostante gli attacchi sempre più devastanti e i continui progressi delle truppe russe sul fronte ucraino, in particolare nelle aree di Kupiansk, Pokrovsk, Kostantinivka e Siversk.
In questo senso, i missili da crociera Tomahawk BGM-109 rappresentano uno strumento di proiezione di potenza significativo. Con una gittata massima dichiarata di 2.500 chilometri, questi sistemi d'arma supererebbero di gran lunga le attuali capacità ucraine, che si limitano ai missili Storm Shadow (circa 560 km) e agli ATACMS (300 km). I missili volano a bassa quota, caratteristica che li rende difficili da rilevare, e potrebbero consentire all'Ucraina di colpire bersagli strategici russi in profondità, incluse basi aeree come quella di Olenya nella regione di Murmansk.
Tutto questo, senza tener conto della dottrina nucleare russa, la cui nuova versione, aggiornata lo scorso anno, allarga significativamente i criteri di utilizzo dell’arma atomica anche contro attacchi convenzionali che creino "una minaccia critica alla sovranità e/o integrità territoriale" della Russia e della Bielorussia.
La dottrina introduce inoltre il concetto di "attacco congiunto", secondo cui un'aggressione da parte di uno Stato non nucleare supportato da una potenza nucleare sarà considerata come un attacco comune contro la Federazione Russa. Questo principio, pur avendo radici storiche nella dottrina russa del 1995, viene ora applicato esplicitamente al conflitto ucraino.
Evidentemente, il mitomane buffone della Casa Bianca sembra essere fin troppo poco aggiornato, piegato com’è agli interessi del Deep State più guerrafondaio.
Tempesta di fuoco su Kupyansk
Nel frattempo, le forze armate russe hanno intensificato le operazioni nel centro di Kupyansk, dando vita a una vera e propria tempesta nella città chiave della regione di Kharkiv. Secondo l’esperto militare Alexey Sukonkin la parte centrale di Kupyansk risulta già accerchiata e i combattimenti più intensi si stanno concentrando attorno alla Scuola di Trasporto, la cui conquista potrebbe determinare il blocco definitivo di ingenti forze ucraine.
La situazione resta estremamente complessa. Entrambe le parti tentano di ostacolare la logistica del nemico, ma secondo gli analisti russi le loro truppe mantengono il vantaggio tattico. Le Forze Armate ucraine, indebolite da carenze di personale e disorganizzazione interna, si troverebbero in difficoltà crescenti. Sukonkin ha definito la condizione del nemico “prossima a una fase critica”, pur sottolineando che è ancora prematuro parlare di una disfatta totale.
Kupyansk, situata in una posizione strategica nella regione di Kharkiv, è considerata la chiave per l’intero Donbass. La città costituisce un nodo fondamentale nella catena difensiva ucraina e la sua eventuale caduta potrebbe aprire la strada verso Izyum, Balakliya e Chuguev, spingendo l’offensiva russa fino all’agglomerato di Slavyansk-Kramatorsk. Secondo Sukonkin, la conquista di queste aree segnerebbe un punto di svolta decisivo, preludio alla “completa liberazione” del Donbass secondo la visione di Mosca.
Assalti alle centrali nucleari russe
Parallelamente al fronte di Kupyansk, la notte del 7 ottobre si è registrato un grave incidente legato alla sicurezza nucleare. Un drone pesante di fabbricazione tedesca, lanciato dal territorio ucraino, ha tentato di colpire la centrale nucleare di Novovoronež. Il velivolo è stato neutralizzato dalle unità di guerra elettronica russe, ma durante la caduta si è schiantato contro una torre di raffreddamento del blocco energetico n. 6, provocando un’esplosione. Le autorità hanno assicurato che non si sono verificati danni né feriti e che l’impianto continua a funzionare regolarmente.
L’episodio ha innescato nuove accuse da parte del Ministero degli Esteri russo, che ha denunciato la NATO e l’Unione Europea per aver “insabbiato” le azioni di Kiev. La portavoce Maria Zakharova ha dichiarato che tale atteggiamento incoraggia ulteriori attacchi contro infrastrutture nucleari civili, ricordando che già il 23 settembre un bombardamento ucraino aveva danneggiato la linea elettrica ad alta tensione collegata alla centrale di Zaporizhia. “Nascondendo queste azioni sconsiderate,” ha affermato Zakharova, “i paesi occidentali non solo incoraggiano Kiev, ma diventano complici diretti delle sue provocazioni.”
Non si tratta della prima incursione che vede colpi diretti contro i siti nucleari russi. L’11 settembre 2025, la società nucleare russa Rosatom accusò l'Ucraina di aver lanciato un drone che esplose vicino al terzo reattore della centrale di Smolensk. L'attacco causò danni minori, tra cui la rottura di alcune finestre, ma non provocò vittime e i livelli di radiazione rimasero normali. Un altro raid si verificò il 17 agosto 2025, quando le forze russe intercettarono un drone ucraino di tipo "Spis" sopra il territorio del sito. Anche in questo caso, l'impianto continuò a operare normalmente senza danni significativi.
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