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La quotidianità viene rotta dal fragore della guerra che si avvicina. Durante una partita di cricket nella città settentrionale di Dharamsala ad un certo punto si diffonde il panico quando si odono delle esplosioni che echeggiano nelle vicinanze.  La sera dell’8 maggio, una folla di oltre 10.000 persone ha dovuto essere evacuata dallo stadio e la partita annullata. Presente anche un fotografo dell’Associated Press che ha documentato tutto.
Erano solo le prime avvisaglie di una rappresaglia che sembrava imminente. Questa notte l'ala mediatica dell'esercito, l'Inter-Services Public Relations, ha annunciato che il Pakistan ha ufficialmente lanciato i suoi attacchi di ritorsione contro "l'aggressione indiana", nome in codice Operazione Bunyan Marsoos.
Un nome che si rifà al seguente versetto coranico: "In verità, Allah ama coloro che combattono per la Sua causa, in ranghi compatti, come se fossero un'unica struttura concreta".
Sono stati subito dispiegati gli arsenali di punta dell’arsenale pakistano, come il sistema missilistico Fatah, dalla gittata di 120 chilometri e dotato di sistemi di navigazione moderna. Il Pakistan afferma anche di aver distrutto il sistema di difesa aerea indiano S-400 utilizzando jet JF-17 Thunder armati con missili ipersonici. Colpiti inoltre depositi di rifornimenti a Uri, il deposito missilistico BrahMos a Beas e le postazioni di artiglieria a Dehrangyari. Anche il quartier generale di brigata dell'esercito indiano a KG Top sarebbe stato duramente colpito. Il Daily Times pakistano afferma che la guerra informatica ed elettronica ha giocato un ruolo chiave nell'operazione, attraverso un massiccio attacco alla rete elettrica indiana, disattivandone quasi il 70%. Anche diversi siti web del governo indiano e del BJP sono stati hackerati.
Fonti militari riferiscono che Islamabad ha preso di mira anche la base aerea nella città indiana di Udhampur e un aeroporto a Pathankot, entrambi "distrutti". Subito dopo, il primo ministro pakistano Shehbaz Sharif ha convocato una riunione del massimo organo che sovrintende all'arsenale nucleare, ovvero l'Autorità di Comando Nazionale (Nca). Una notizia poi smentita dalle stesse fonti di governo.
Un’operazione avviata subito dopo che, a detta del portavoce dell'esercito pakistano Ahmad Sharif, l’India aveva lanciato attacchi missilistici contro 3 basi aree. Lo ha riferito la televisione India Today, citando alcune fonti, specificando che le installazioni militari e le infrastrutture in Pakistan hanno subito gravi danni.  Mazhar Hussain Shah, portavoce del governo del Kashmir amministrato dal Pakistan, ha dichiarato ad Al Jazeera che almeno 13 persone, tra cui un bambino di età inferiore ai 10 anni, sono state uccise a causa dei bombardamenti indiani in varie zone della regione a partire da ieri sera.


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D’altra parte, il Ministero della Difesa indiano ha accusato Islamabad di aver preso di mira infrastrutture civili durante gli attacchi notturni nell'ambito dell'operazione Bunyan Marsoos. "(Il Pakistan ha preso di mira - ndr) luoghi di culto come il famoso tempio di Shambhu e aree residenziali nel Jammu. Diversi droni armati sono stati inviati di notte, mettendo in pericolo civili e siti religiosi", ha dichiarato il ministero in una nota. 
L'ultima escalation militare tra India e Pakistan potrebbe essere solo la prima fase di un conflitto più ampio, sostiene l’analista politico e della sicurezza con sede a Islamabad Imtiaz Gul. Le "grandi provocazioni" per il Pakistan sono stati gli attacchi lanciati dall'esercito indiano con aerei da combattimento e droni per diversi giorni, prima della risposta del Pakistan nelle prime ore di sabato.
"Questo è ciò che costituisce il presupposto per la ritorsione del Pakistan. Sarà molto pericoloso se gli indiani non cederanno e non smetteranno con la loro propaganda di guerra", ha detto Gul all’emittente televisiva, Al Jazeera.
"Quindi questo è stato l'ultimo innesco di cui il Pakistan aveva bisogno per lanciare attacchi", ha continuato, aggiungendo che l'escalation ricorda in qualche modo i grandi conflitti del 1971 e del 1999, ma questa volta finora si è concentrata su attacchi aerei piuttosto che su offensive terrestri.
Ad Al Jazeera, parla anche Vivek Katju, ex diplomatico ed editorialista indiano, sostenendo che per "troppo tempo" l'India è stata paziente con il Pakistan e ora ha deciso di intervenire a seguito di un "inaccettabile attacco terroristico".
L'attacco mortale avvenuto il 22 aprile nel Pahalgam del Kashmir amministrato dall'India è stato uno di questi attacchi”, ha affermato, dicendosi preoccupato che le truppe di terra inizieranno a essere mobilitate. “Nessuno dei due Paesi lo ha mai fatto", ha aggiunto.
"Al momento, come ho detto, sì, è una situazione difficile, ma è chiaro che i pakistani stanno usando la vecchia narrativa secondo cui il terrorismo va bene – lo pratichiamo – ma l'India non dovrebbe reagire. Dovrebbe semplicemente assorbire. Questo non accadrà più", ha aggiunto.


L’attacco terroristico di Pahalgam, la miccia dell’escalation

Come menzionato, a scatenare la nuova crisi è stato l'attacco terroristico nel Kashmir indiano il mese scorso, che è costato la vita a 26 turisti indiani, e che Delhi ha attribuito all'organizzazione terroristica pakistana Lashkar-e-Taiba.
Il Direttore Generale delle Relazioni Pubbliche Interservizi (DG ISPR) del Pakistan, il Tenente Generale Ahmed Sharif, ha duramente criticato l'India per la sua gestione del caso. Invece di presentare prove concrete che colleghino il Pakistan all'incidente, “l'India ha intensificato la repressione in Kashmir, distruggendo 50 case e arrestando oltre 2.500 kashmiri. Queste azioni fanno parte di una più ampia campagna di oppressione della popolazione musulmana del Kashmir”, ha sostenuto.
Sharif ha respinto le accuse lanciate da Nuova Delhi che accusa Islamabad di aver inviato terroristi oltre confine, poiché Pahalgam si trova distante 230 chilometri. Ha inoltre osservato che la polizia è arrivata solo 10 minuti dopo l'attacco, cosa impossibile in circostanze normali, sollevando dubbi sull'autenticità delle accuse dell'India. Inoltre, i media indiani hanno “rapidamente diffuso la versione del coinvolgimento del Pakistan, ancor prima che venissero condotte indagini”, ha concluso Sharif.

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