La fine del conflitto è rimandata in data da destinarsi.
È questa l’amara conclusione a cui ci stanno conducendo gli eventi dell’ultima settimana. Volodymyr Zelensky ha infine rifiutato i tre giorni di tregua proposti da Vladimir Putin dall’8 al 10 maggio, chiedendo ancora un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni. Una proposta che Mosca ha sempre considerato inaccettabile se avesse poi determinato un rinnovato sostegno militare all’Ucraina o l’arrivo delle truppe di peacekeeping, tanto ambite da Londra e Parigi.
"Lo scopo della tregua pasquale proposta dalla Russia, così come l'attuale iniziativa di dichiarare una tregua per le festività dell'8, 9 e 10 maggio, per noi è quello di testare la disponibilità di Kiev a trovare modi per una pace sostenibile a lungo termine tra Russia e Ucraina”, ha detto il portavoce presidenziale Dmitry Peskov.
Un rigetto a cui si aggiungono gli ammonimenti sibillini del leader ucraino, secondo cui Kiev non potrà garantire la sicurezza dei leader stranieri che parteciperanno alla parata del 9 maggio a Mosca.
"La nostra posizione nei confronti di tutti i Paesi che hanno visitato o hanno in programma di visitare la Russia il 9 maggio è molto semplice: non possiamo assumerci la responsabilità di ciò che accade sul territorio della Federazione Russa. Loro garantiscono la vostra sicurezza", ha affermato, secondo l’agenzia stampa AFP.
Da parte sua, il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov ha sottolineato che l'evento cerimoniale avrà luogo e che i russi vi assisteranno con orgoglio.
Come sempre, più incisivo e apocalittico è stato il commento del vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitry Medvedev.
“Capisce che nel caso di una vera provocazione nel Giorno della Vittoria, nessuno può garantire che Kiev arrivi al 10 maggio”, ha scritto sul suo canale Telegram.
In questo contesto acceso, dopo settimane di trattative, è stato ufficialmente firmato l'accordo sulle terre rare tra Stati Uniti e Ucraina. Un’intesa che prevede la creazione dell’Ukraine Recovery Investment Fund, un fondo congiunto per la ricostruzione economica dell’Ucraina, in particolare attraverso lo sviluppo delle risorse naturali come minerali critici, petrolio e gas. Il fondo sarà gestito in modo paritario da Kiev e Washington, senza poteri di veto o quote di maggioranza, e sarà finanziato con i proventi delle nuove licenze minerarie.
Ma l’accordo segna una svolta significativa nella relazione militare tra i due Paesi, trasformando l’Ucraina da destinatario di aiuti a cliente del comparto difesa americano. Finora, gli Stati Uniti avevano fornito all’Ucraina armi, intelligence e supporto logistico in forma di aiuti, con un investimento stimato da Trump in circa 350 miliardi di dollari (dato esagerato rispetto ai conteggi ufficiali, ma politicamente significativo). Con il nuovo accordo, la logica cambia: le forniture militari diventeranno vendite commerciali, finanziate attraverso i proventi delle risorse naturali ucraine.
Il Dipartimento di Stato USA ha inoltre già certificato la prima licenza di esportazione militare per oltre 50 milioni di dollari in equipaggiamenti, segnando la prima vendita ufficiale di armi dell’amministrazione Trump all’Ucraina.
Secondo il professore associato nel dipartimento di Scienze politiche della Luiss, Alessandro Orsini, si tratta di un passaggio cruciale: “Trump è entrato in guerra”, trasformando quella che era “la guerra di Biden” nella “sua guerra”.
Tuttavia, l’accordo solleva anche interrogativi sulla strategia ucraina. “Zelensky ha deciso di impegnare i soldi degli ucraini per proseguire una guerra che sta distruggendo l’Ucraina”, afferma Orsini su Sicurezza Internazionale, sottolineando come lo stesso presidente abbia riconosciuto che l’esercito non ha le forze per riconquistare i territori perduti. “La guerra è inutile”, conclude, “poiché non serve più a raggiungere gli obiettivi per i quali Zelensky aveva chiesto agli ucraini di morire al fronte”.
Nel testo dell’accordo, Trump ha rifiutato di includere nel testo dell’accordo ogni riferimento all'adesione alla NATO o all’intervento diretto americano in caso di aggressioni future.
Le uniche “garanzie”, come riportato nell’analisi, sono indirette e deboli, basate sull’idea che la massiccia presenza industriale americana in Ucraina scoraggi Mosca da ulteriori attacchi, per timore di danneggiare interessi economici statunitensi. Ma si tratta di un deterrente economico, non militare.
Heidi Crebo-Rediker del Council on Foreign Relations ha osservato che “gli Stati Uniti avranno un interesse personale nelle risorse naturali per le quali gli ucraini combatteranno”. In poche parole, Kiev combatterà con il proprio esercito e le proprie perdite per difendere interessi che saranno anche (o soprattutto) americani.
Fonte © Imagoeconomica
ARTICOLI CORRELATI
Firmato l’accordo sulle terre rare. Trump a Zelensky: “Russia più grande e più forte”
La pace a rischio. Zelensky rifiuta il piano di Trump: ''Conflitto finisca senza regali a Putin''
Spiragli dopo l'incontro Zelensky-Trump, ma Macron invoca massima escalation su Mosca