Il confine indo-pakistano si infiamma all’inverosimile, dopo che il 22 aprile in una località turistica nella valle di Baisaran, vicino alla città di Pahalgam, nella regione del Kashmir amministrato da Nuova Delhi, una tranquilla vacanza tra i monti dell’Himalaya si è trasformata in un terribile bagno di sangue.
Almeno 26 persone sono state uccise da un gruppo militante poco conosciuto, chiamato Kashmir Resistance, che ha rivendicato la responsabilità dell’attacco in un messaggio sui social media. Alcuni sopravvissuti hanno rivelato che i militanti avrebbero radunato alcuni uomini presenti sul luogo chiedendo loro di pronunciare versi islamici. Coloro che non erano in grado di farlo sono stati giustiziati sul posto. Il gruppo terrorista lamenta che “più di 85.000 estranei” si sarebbero stabiliti nella regione, stimolando un “cambiamento demografico”. “Di conseguenza, la violenza sarà diretta verso coloro che tentano di insediarsi illegalmente”.
Si tratta dell’attacco più mortale avvenuto nella regione himalayana contesa dal 2000 e rappresenta un colpo diretto a ciò che Modi e il suo partito nazionalista indù, Bharatiya Janata, hanno presentato come un grande risultato, ossia la revoca dello status semi-autonomo del Kashmir il 6 agosto 2019. La regione è infatti divisa tra India e Pakistan dalla loro indipendenza nel 1947, con entrambi i Paesi che la rivendicano nella sua interezza, governando porzioni separate. Un territorio già martoriato da innumerevoli violenze sin dall’inizio dell’insurrezione anti-indiana nel 1989.
La polizia del Kashmir indiano ha diffuso il 24 aprile gli avvisi di ricerca di tre sospetti militanti, ritenuti coinvolti nell'attacco armato a Pahalgam costato la vita a 26 persone. Secondo le autorità locali, due di questi sarebbero cittadini pakistani.
Il primo ministro indiano, Narendra Modi, ha promesso di punire tutti i responsabili dell’attacco, affermando che l’India li perseguirà “fino ai confini della Terra” e durante un discorso tenuto nello Stato del Bihar, ha promesso che il Paese “identificherà, rintraccerà e punirà ogni terrorista e chi li sostiene”.
Una mossa estrema: sospensione del Trattato sulla condivisione delle acque dell’Indo
Nel frattempo il Paese ha chiuso un importante confine terrestre con il Pakistan, vietato l’ingresso ai cittadini pakistani nell’ambito di un programma di esenzione dal visto e sospeso il Trattato sulla condivisione delle acque dell’Indo, firmato grazie alla mediazione dalla Banca Mondiale il 19 settembre 1960. Come riportato dal Times of India, il Ministro di Jal Shakti (Risorse Idriche) C.R. Paatil ha affermato che “nemmeno una goccia d’acqua andrà al Pakistan”, indicando che è stata preparata una tabella di marcia in seguito alla sospensione del trattato.
La situazione è potenzialmente esplosiva: l’accordo delle Acque dell’Indo stabilisce la ripartizione delle risorse idriche tra India e Pakistan. In pratica gli affluenti dell’Indo situati a sinistra, come il Sutlej, il Beas e il Ravi, sono riservati all’uso esclusivo del Pakistan, mentre quelli di destra, come l’Indo, il Jhelum e il Chenab, possono essere sfruttati dall’India per scopi agricoli, per la produzione di energia idroelettrica e per la costruzione di dighe, a condizione che ciò non comprometta il flusso d’acqua destinato al Pakistan. Tutti questi fiumi hanno origine nell’Himalaya indiano, ma il trattato mira a garantire un'equa distribuzione delle risorse, tutelando in particolare i bisogni del Pakistan.
Nonostante il grande potenziale, l'India attualmente sfrutta solo una minima parte dell'energia idroelettrica ottenibile dagli affluenti dell’Indo, pari a circa 3,42 gigawatt sui 20 gigawatt teorici disponibili. Se Nuova Delhi decidesse di utilizzare appieno i fiumi a suo favore, potrebbe quintuplicare la quantità di energia prodotta, ma allo stesso tempo ridurrebbe sensibilmente l’afflusso di acqua verso il Pakistan, con gravi conseguenze per l'agricoltura e per le riserve idriche urbane del Paese vicino.
Islamabad ha subito considerato l’azione un vero e proprio “atto di guerra”.
Il ministro dell’Energia pakistano, Awais Lekhari, ha subito definito la sospensione del trattato “un atto di guerra idrica” e “una mossa codarda e illegale”, mentre il primo ministro pakistano, Shehbaz Sharif, avrebbe convocato una riunione del comitato per la sicurezza nazionale per discutere la risposta del Pakistan, secondo quanto annunciato dal ministro degli Esteri, Ishaq Dar, su X.
Corrono pericolosi venti di guerra tra le due potenze, entrambe dotate di armi nucleari. Nella giornata di ieri il Pakistan ha aperto il fuoco su diversi avamposti lungo la linea di contatto con l’India e diversi filmati testimoniano che Islamabad continua a spostare i mezzi pesanti corazzati sulla frontiera. “Grazie Modi, hai unito la nostra nazione. Vuoi la guerra? Cominciamo. Il Pakistan è pronto”, scrive il Ministero della Difesa pakistano in una nota.
La possibile longa manus dell’Occidente
Nel mezzo della tensione crescente corrono ombre sempre più sinistre sul possibile coinvolgimento occidentale nelle contese.
Il ministro della Difesa pakistano Khawaja Muhammad Asif ha ammesso ieri in un’intervista a Sky News, che il Paese ha sostenuto gruppi terroristici per oltre tre decenni.
"Beh, abbiamo fatto questo sporco lavoro per gli Stati Uniti… Per l'Occidente, compresa la Gran Bretagna", ha risposto Asif alle domande della giornalista Yalda Hakim, spiegando che “è molto comodo per... le grandi potenze incolpare il Pakistan per qualsiasi cosa stia accadendo in questa regione. Quando combattevamo la guerra al loro fianco negli anni '80 contro l'Unione Sovietica, tutti questi terroristi di oggi se la spassavano a Washington”.
Una realtà, quella della connivenza tra Washington ed i gruppi terroristici con tramite Islamabad, già emersa dai cablo di WikiLeaks dove vengono dimostrati i legami tra l'Inter Services Intelligence (ISI), il servizio segreto pakistano formalmente alleato dell'Occidente, e la stessa insurrezione jihadista che avrebbe dovuto combattere in Afghanistan. I documenti rivelavano ad esempio che erano stati forniti a Jalaluddin Haqqani, influente signore della guerra legato ai talebani e ad al Qaeda, mille motociclette destinate ad attentati suicidi contro le forze NATO. Haqqani, peraltro, era stato negli anni Ottanta una risorsa preziosa della CIA nella guerra contro l’Unione Sovietica.
Secondo un’inchiesta del New York Times, il Pakistan, pur ostentando lealtà agli Stati Uniti, consentiva ai propri ufficiali dei servizi di incontrare direttamente i leader talebani per organizzare reti militari contro gli americani. Benjamin Rhodes, vice consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, riconobbe il ruolo importante del Pakistan nella lotta contro i gruppi militanti, sottolineando la cooperazione di soldati e agenti pakistani nel catturare o eliminare capi di al Qaeda e dei talebani. Tuttavia, Rhodes ammise anche che la situazione non poteva essere considerata soddisfacente, dato che i rifugi sicuri per i militanti in territorio pakistano rappresentavano una minaccia intollerabile che Islamabad doveva impegnarsi di più a sradicare.
Nonostante le accuse e le prove, Washington tentava di preservare l'immagine del Pakistan come alleato fedele, mentre, in realtà, ufficiali americani disponevano di una lista di agenti pakistani coinvolti nel doppio gioco.
Sono diversi gli indizi che parlano di una longa manus che viene da Occidente nelle crescenti schermaglie di fuoco Nuova Delhi e Islamabad, ma al centro del mirino potrebbe esserci anche l’Iran.
Nell’ultimo vertice dei Brics, tenutosi a Kazan, il presidente iraniano Masoud Pezeshkian ha proposto di trasformare Teheran in un nodo centrale per un nuovo sistema di transito energetico terrestre, capace di collegare la Russia all’India, evitando così le rotte marittime tradizionali che passano per il Mar Rosso.
In questo contesto si inserisce la decisione del Pakistan di avviare finalmente la costruzione del proprio tratto del gasdotto Iran-Pakistan (IP), fermo da anni. Il 23 febbraio 2024, il Cabinet Committee on Energy di Islamabad ha approvato la realizzazione di un segmento di 80 chilometri da Gwadar al confine iraniano, riproponendo un gasdotto di pace trilaterale che coinvolgeva ovviamente anche Nuova Delhi.
Un progetto certamente osteggiato da Washington che avrebbe tutto l’interesse di far saltare il banco della nuova intesa Indo-pakistana.
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