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Si alza di livello la tensione che rischia di incendiare l’intero Medio Oriente. “Se l'Iran dovesse essere attaccato dagli Stati Uniti o dai suoi alleati dovrebbe dotarsi dell'arma nucleare”, ha detto il consigliere della guida suprema della Repubblica islamica Ali Khamenei, Ali Larijani, alla televisione di Stato iraniana.
"Non ci stiamo muovendo verso le armi (nucleari), ma se fai qualcosa di sbagliato nella questione nucleare iraniana, costringerai l'Iran a muoversi in quella direzione perchè deve difendersi", ha precisato, aggiungendo che “se a un certo punto voi (gli Stati Uniti) vi muoverete verso i bombardamenti da soli o tramite Israele, costringerete l'Iran a prendere una decisione diversa".
Dichiarazioni precedute delle minacce del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che aveva paventato un attacco all’Iran se non si sarebbe raggiunto un accordo sul nucleare.
Il 31 marzo, la Guida Suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, ha risposto a questi ammonimenti, avvertendo che Washington subirebbe un "duro colpo" se dovesse passare all’azione.
“Le ostilità degli Stati Uniti e di Israele non sono una novità. Le loro minacce non ci preoccupano, ma se dovessero agire, la risposta sarà severa”, ha dichiarato durante un sermone trasmesso in televisione in occasione dell’Eid al-Fitr, aggiungendo che, in caso di tentativi di destabilizzazione interna – un probabile riferimento alle proteste del 2022-2023 – sarà il popolo iraniano a reagire.
Al contempo, fonti del Tehran Times, giornale vicino al governo, hanno rivelato che l’Iran ha posizionato missili in bunker sotterranei, pronti a colpire obiettivi statunitensi in caso di attacco.Il comandante aerospaziale dei Guardiani della Rivoluzione, Amirali Hajizadeh, ha avvertito che le basi USA in Medio Oriente – con circa 50.000 soldati – sono "in una casa di vetro" e vulnerabili a ritorsioni.
Di concerto, il contrammiraglio Alireza Tangsiri, comandante della Marina iraniana, ha dichiarato che, se attaccato, il Paese chiuderà lo Stretto di Hormuz, via cruciale per il trasporto petrolifero globale. "Se arriverà l’ordine, eseguirò il mio dovere", ha detto, escludendo qualsiasi negoziato sul programma missilistico o sul sostegno a gruppi regionali.
Lo stesso giorno, l’Iran ha formalmente protestato attraverso l’ambasciata svizzera (che funge da intermediario tra i due Paesi), definendo le parole di Trump "un oltraggio alla pace e alla sicurezza globale".
Il presidente iraniano Masoud Pezeshkian ha chiarito che Teheran non accetterà negoziati diretti con Washington, ma è disposto a continuare i colloqui indirettamente, come stabilito da Khamenei. "Il problema non sono i dialoghi, ma le promesse non mantenute", ha affermato Pezeshkian, esortando gli USA a "dimostrare di poter costruire fiducia".
Trump, già durante il suo primo mandato (2017-2021), aveva abbandonato unilateralmente l’accordo sul nucleare (JCPOA), spingendo l’Iran a superare i limiti imposti sull’arricchimento dell’uranio, portandolo al 60% di purezza – un livello non giustificabile per scopi civili, secondo le potenze occidentali. Nonostante Teheran neghi di voler costruire armi atomiche, le tensioni persistono, con gli ispettori internazionali spesso ostacolati.


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Israele bombarda nuovamente il Libano

Nel frattempo l’incendio si estende al Libano dopo che l’esercito israeliano ha condotto un raid sulla capitale, causando la morte di almeno 4 persone e il ferimento di altri 7 civili, secondo quanto riferito dal Ministero della Salute libanese.
L’attacco, avvenuto nelle prime ore del 1° aprile, nel sobborgo meridionale di Dahiyeh, rappresenta la seconda operazione militare israeliana contro Beirut in meno di una settimana, minacciando seriamente l’accordo di cessate il fuoco raggiunto con Hezbollah il 27 novembre 2024.
L’Idf ha comunicato di aver preso di mira un membro di Hezbollah che stava assistendo Hamas nella pianificazione di un imminente attacco terroristico contro civili israeliani.
La persistenza di Israele nella sua aggressione richiede maggiori sforzi da parte nostra nell’indirizzarci agli amici del Libano in tutto il mondo e nel radunarli a sostegno del nostro diritto alla piena sovranità sul nostro territorio”, ha dichiarato il presidente libanese Joseph Aoun, condannando fortemente l’attacco.
Anche il deputato del movimento sciita libanese Hezbollah, Ibrahim Moussawi, ha espresso indignazione, puntando il dito contro la comunità internazionale, in particolare gli Stati Uniti e i Paesi occidentali, accusandoli di essere "responsabili di un crimine persistente" per il loro silenzio di fronte alla recente escalation militare israeliana in Libano. Moussawi ha sottolineato che l'operazione rappresenta "una significativa escalation" e ha denunciato il fatto che Israele, "fin dalla sua adozione", non ha mai rispettato la risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che stabilisce il cessate il fuoco tra Hezbollah e Israele dopo il conflitto del 2006.
Alcuni testimoni hanno riferito a Reuters che non è stato emesso alcun avviso di evacuazione prima dell’attacco e che le famiglie residenti nella zona sono fuggite verso altre parti della città.
Come riportato da Al Jazeera, l’operazione militare israeliana segna una netta differenza rispetto al raid del 28 marzo, poiché questa volta non è stata preceduta da alcun lancio di razzi dal Libano che potesse fornire una giustificazione come risposta difensiva. L’assenza di una provocazione diretta solleva interrogativi sulle reali motivazioni dell’attacco, configurandolo più come un’azione unilaterale che come una rappresaglia.
La ricercatrice presso l’Institute for Policy Studies, Phyllis Bennis, ha dichiarato che “l’amministrazione Trump ha chiarito molto bene che non criticherà Israele e non interromperà l’invio delle armi che gli consentono di continuare questi attacchi”, aggiungendo che stiamo osservando un’estensione “della guerra genocida che gli israeliani stanno conducendo a Gaza”.


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© Imagoeconomica


Secondo i termini del cessate il fuoco, le IDF avrebbero dovuto completare il loro ritiro dal Libano entro il 18 febbraio, dopo aver mancato la scadenza di gennaio, ma hanno mantenuto le loro truppe in cinque luoghi che considera “strategici”. L’accordo del 27 novembre richiedeva anche a Hezbollah di ritirare le sue forze a Nord del fiume Litani, a circa 30 km dal confine israeliano, e smantellare qualsiasi infrastruttura militare rimanente nel Sud. Entrambe le parti, tuttavia, si sono accusate a vicenda di violazioni.


Gaza sull’orlo della carestia. 1042 morti dalla rottura della tregua

Netanyahu non ha alcuna intenzione di terminare il massacro a Gaza. Quando chiede il disarmo di Hamas, non propone allo stesso tempo di porre fine alla guerra che potrebbe davvero portare al rilascio di tutti gli ostaggi.
Lo smantellamento di Hamas che ora presenta come strumento per arrivare al secondo obiettivo è primo di fondamento.
Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, il premier israeliano ha “violato l'accordo di cessate il fuoco firmato a gennaio, che includeva anche il ritiro dell'IDF da Gaza e, di fatto, la fine della guerra e la promessa di condurre i negoziati della seconda fase dell'accordo”, riguardante “la ricostruzione della Striscia e la sua governance da parte di una forza palestinese, da sola o con la partecipazione di stati arabi”.
Nel frattempo le sofferenze della popolazione non accennano a diminuire. Con la chiusura di tutti i panifici a causa della carenza di farina e carburante, secondo la Protezione Civile di Gaza l’enclave è "sull'orlo di una carestia simile a quella dello scorso anno".
Il ministero della Salute nella Striscia, annuncia che dalla ripresa delle operazioni militari di Israele a Gaza il 18 marzo, 1.042 palestinesi sono stati uccisi, di cui 41 nelle ultime 24 ore.
Israele controlla strettamente l’ingresso di aiuti umanitari a Gaza, limitando carburante, farina e medicinali. Nonostante gli appelli delle agenzie ONU, il flusso di aiuti rimane insufficiente. Le recenti dichiarazioni del governo israeliano suggeriscono che la strategia del blocco continuerà, con il ministro della Difesa Israel Katz che promette di "schiacciare il terrore palestinese" e impedire all’Autorità Palestinese di esercitare controllo in Cisgiordania.
Secondo le Nazioni Unite, una carestia si verifica quando: almeno il 20% della popolazione soffre di fame estrema; il 30% dei bambini è affetto da malnutrizione acuta; l tasso di mortalità giornaliero raddoppia, superando i due decessi ogni 10.000 adulti e quattro ogni 10.000 bambini.
A Gaza, queste condizioni sono già una realtà.

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