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Mentre l’Europa delinea il nuovo “libro bianco della Difesa” e rinnova il sostegno militare a Kiev nell’ottica di proseguire la guerra fino al raggiungimento dell’integrità territoriale, Donald Trump parla già di accordi tra Russia e Ucraina sulla loro spartizione.
"Si sta discutendo di questo problema proprio ora: stiamo parlando della divisione delle terre e cose del genere", ha affermato il tycoon, parlando dallo Studio Ovale della Casa Bianca, annunciando che, in alcune zone, sarebbe già stato raggiunto un cessate il fuoco.
"Ad oggi, tutto questo viene rispettato molto bene", ha aggiunto, sottolineando di aver "collaborato splendidamente" con il leader russo Vladimir Putin e con Volodymyr Zelensky.
Il miliardario newyorchese ha addirittura dichiarato di non aver discusso con Putin la scadenza per un cessate il fuoco nel conflitto in Ucraina.
Ma la calma è solo apparente. Intorno alle 00:20 del 21 marzo, a Sudzha un’esplosione ha innescato un grande incendio nella stazione di misurazione del gas, situata nella regione di Kursk a poche centinaia di metri dal confine russo, sotto il controllo delle truppe ucraine dal 7 agosto fino ad oggi.
Attraverso il gasdotto venivano pompati quotidianamente oltre 40 milioni di metri cubi di gas verso i paesi europei e rappresentava l'ultima rotta per le forniture dalla Russia all'Europa attraverso l'Ucraina. Il pompaggio si è fermato all'inizio dell'anno a causa del rifiuto dell’Ucraina di rinnovare il contratto di transito.
Per il Ministero della Difesa russo, si tratta di una provocazione deliberata “del regime di Kiev, che dovrebbe essere considerata nella serie generale dei recenti attacchi alle infrastrutture energetiche della Federazione Russa al fine di screditare le iniziative di pace del Presidente degli Stati Uniti”.


L’UE fa un passo indietro e definisce la nuova difesa a 4 livelli dell’Ucraina, ma sotto egida Onu

Prende forma, intanto, nel vecchio continente l’ipotesi di un coinvolgimento delle Nazioni Unite per garantire la sicurezza dell’Ucraina, con un piano articolato in quattro livelli di interposizione.
Uno scenario, sostenuto da Paesi “volenterosi” guidati dal presidente francese Emmanuel Macron, che prevede un ruolo centrale per i caschi blu dell’ONU, con il supporto essenziale degli Stati Uniti come garante ultimo.


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Emmanuel Macron


L’idea di coinvolgere l’ONU rappresenta attualmente l’unica opzione praticabile per non portare direttamente le truppe NATO in guerra, poiché è l’unica che la Russia non ha escluso a priori, in quanto membro permanente del Consiglio di Sicurezza.  Mosca avrebbe un ruolo decisivo nel dare il via libera all’operazione in un approccio che garantirebbe, agli occhi del Cremlino, quella neutralità – da sempre rivendicata per il suo Paese confinante – che né la NATO né l’Unione Europea potrebbero offrire. Tuttavia, Zelensky rimane scettico, sostenendo che l’ONU non può sostituirsi a garanzie di sicurezza concrete o a un contingente militare diretto.
Il piano precederebbe una struttura a quattro livelli: la prima linea sarebbe costituita da una zona demilitarizzata all’interno dell’Ucraina, particolarmente esposta agli attacchi, dove verrebbero schierati i caschi blu dell’ONU provenienti da Paesi non europei. Il loro compito sarebbe proteggere città, porti e infrastrutture critiche.
Le forze ucraine sarebbero posizionate come seconda linea di difesa, con un ruolo attivo nella protezione del territorio. Nella terza linea un contingente della “Coalizione dei volenterosi”, guidata da Paesi europei, opererebbe sia all’interno dell’Ucraina che lungo i suoi confini, con possibili compiti di sorveglianza aerea. Infine nella quarta linea gli Stati Uniti agirebbero come “backstop”, ovvero come garanzia finale sia per l’Ucraina che per gli alleati europei. Washington ha mostrato disponibilità a partecipare, ma il presidente Donald Trump ha posto come condizione preliminare la firma di un’intesa sui minerali con Kiev.
Secondo alcune indiscrezioni, il contingente totale potrebbe contare su 20.000 militari, un numero inferiore rispetto alle stime iniziali di Londra e Parigi. È cambiata anche la terminologia: non si parla più di garanzie di sicurezza (security guarantees) ma di dispositivi di sicurezza (security arrangements).


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Kiev si prepara al ritiro dal Kursk

Un’ecatombe devastante per un’azione militare rivelatasi in tutta la sua inutilità strategica dopo 8 mesi di combattimenti. Secondo il capo di Stato Maggiore delle Forze Armate russe Gerasimov, l'esercito ucraino avrebbe subito perdite nel Kursk pari a 67.000 uomini e quasi 7.000 veicoli di vario tipo.
Per comprenderne l’entità, basta considerare che l’esercito britannico ha attualmente una forza complessiva di meno di 80.000 uomini, con un totale di circa 3.200 carri armati e veicoli corazzati, di cui solo 213 sono carri armati da combattimento Challenger 2.
Attualmente Mosca controlla l’86% dell’oblast di Kursk controllato dall’Ucraina e ora l’AFU è in procinto di ritirarsi dalla zona dei villaggi di Oleshnya e Gogolevka. A conferma di ciò, probabilmente, è stato fatto saltare in aria il sistema di misurazione del gas "Sudzha", il che potrebbe indicare l'uso della tattica della "terra bruciata". Le truppe ucraine stanno cercando di minimizzare le perdite ed evitare un completo accerchiamento, che le minaccia in questa zona.
Al contempo, per il quarto giorno consecutivo, secondo il quotidiano russo Readovka, le unità dell’esercito ucraino stanno cercando di attraversare il confine nella zona di Demidovka, ma le incursioni non hanno ancora prodotto risultati significativi. L’AFU utilizza una tattica di infiltrazione con piccoli gruppi attraverso il confine, seguita da una concentrazione nelle fasce forestali. Tuttavia, l'assenza di veicoli blindati, che vengono distrutti lungo la linea di confine, riduce notevolmente le loro possibilità di successo.
Evidentemente l'obiettivo principale delle UAF in questa zona è distrarre le forze russe dalla regione di Kursk, dove le unità ucraine rischiano l'accerchiamento.

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