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L'intervento alla Camera del giornalista palestinese sopravvissuto al genocidio in Palestina

"La storia del lavoro giornalistico nella Striscia di Gaza è molto strana e molto difficile. Io sono qua e non credo ai miei occhi di essere sopravvissuto a tutto quello che ho visto e che ho vissuto. Se nelle altre parti del mondo la professione del giornalista è quella dei fastidi e delle polemiche a Gaza è la professione della morte. La morte non minaccia solo il giornalista in se stesso ma anche la sua famiglia". Così Wael Al-Dahdouh, giornalista che ha lavorato per Al Jazeera nella Striscia di Gaza. Intervenuto nei giorni scorsi ad un convegno dalla Sala stampa della Camera, organizzato dall'on. Stefania Ascari (M5S), alla presenza anche degli on. Laura Boldrini (Pd), Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli (Avs). "La storia della guerra di Gaza è fuori di ogni logica. Il nostro lavoro era raccontare che Gaza era accerchiata minuto per minuto. La guerra ci ha sorpreso ogni volta, sempre più crudele. A Gaza le porte erano chiuse, i giornalisti hanno provato in tutti i modi a raccontare quello che stava accadendo. Noi giornalisti abbiamo detto sempre 'non siamo una parte della guerra, ma dei professionisti'. Nonostante questo, abbiamo pagato un prezzo altissimo - aggiunge -. Più di 200 colleghi sono caduti martiri in attacchi diretti, molti di questi mentre il collega stava lavorando, era in diretta. Nonostante le scritte 'press' e nonostante il fatto noi ci muovevamo con estrema cautela. Malgrado questo ci sparavano contro, anche io sono stato ferito. Il mio operatore ha perso la vita e tre uomini del pronto soccorso di Gaza sono morti nell'attacco contro di me. Mi sono salvato per miracolo".
Volto storico dell’emittente qatariota, Wael Al-Dahdouh è divenuto noto alla cronaca internazionale - anche quella mainstream da sempre distratta e schiacciata sui diktat sionisti – grazie alle sue testimonianze dal fronte e per la tragedia che lo ha colpito direttamente durante il genocidio. "Mentre ero in diretta ho ricevuto la notizia dell'uccisione della mia famiglia, una cosa surreale. La mia famiglia stava in una zona che doveva essere una zona sicura, ho visto la mia casa distrutta. Abbiamo levato le macerie e i rottami, ho trovato mio nipote di 6 mesi. Ho saputo di mia moglie e dei miei figli. Anche loro uccisi. 12 persone della mia famiglia sono state uccise in quel bombardamento".
Wael starà per qualche settimana in Italia e girerà il Paese per trasmettere la propria testimonianza, perché "se c'è una lezione che si può imparare dalla mia storia, un messaggio che si può trasmettere è che bisogna continuare a trasmettere immagini e parole dalla Striscia di Gaza. Continuare a trasmettere, senza fermarsi".
Tra i temi affrontati, infine, il giornalista palestinese ha commentato le recenti dichiarazioni di Trump in merito alla Striscia di Gaza e alla volontà di deportare i Gazawi verso l'Egitto. "Io sono nato e cresciuto lì. Noi dobbiamo attaccarci alla speranza e alla resilienza. Gaza non è un punto geografico di cui tutti possono parlare. C'è un popolo lì, ci sono dei corpi - ha detto -. Tutto questo disprezzo non è possibile, bisogna trattare i palestinesi come esseri umani. Questo discorso non viene fatto per la prima volta, sempre si è detto di mandare via i palestinesi. Ma dobbiamo permettere a Gaza una possibilità di vita, non promesse di torture e nuove sofferenze. Sono esseri umani".

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