Milizie M23 stanno avanzando verso Bukavu, capitale dello stato del Kivu del sud
Non si ferma l’offensiva sanguinosa delle milizie M23 nella Repubblica Democratica del Congo. Fonti dell’Onu affermano che i ribelli stanno avanzando verso Bukavu, capitale dello stato del Kivu del sud, pochi giorni dopo aver preso il controllo di Goma.
Attualmente si trovano a 60 km dalla città e vicini all’aeroporto a nord del centro abitato, mentre il personale delle Nazioni Unite è stato già evacuato.
Come reso noto dal reso noto dal portavoce dell'Onu Stephane Dujarric, dall'inizio della nuova offensiva delle milizie domenica scorsa 700 persone sono state uccise e 2.800 ferite. 400.000 civili hanno lasciato le loro case da gennaio e decine di migliaia si sono diretti verso Goma, dove vivono più di 650.000 persone. Le condizioni a cui deve far fronte la popolazione sono terribili, con accesso limitato a cibo, acqua, alloggio e assistenza sanitaria. Molti congolesi affrontano anche le conseguenze delle lesioni generate da proiettili vaganti e attacchi nei campi e nelle strutture sanitarie.
Una situazione che rischia di esplodere e che ha caratteristiche molto simili al conflitto prolungato verificatosi nella regione tra il 1996 e il 2003, non a caso soprannominato "la guerra mondiale dell'Africa", in quanto causò la morte di circa 6 milioni di persone. Al centro di questa scia di sangue, non ci sono motivi etnico religiosi, quanto la lotta per il predominio sulle risorse, ora fondamentali per costruire la società dei consumi high tech.
Secondo il dipartimento del Commercio Usa, la Rdc è il principale produttore mondiale di cobalto (si stima che fornisca circa il 70 per cento della produzione mondiale), un elemento essenziale per la produzione di batterie dei veicoli elettrici, ma una minima parte della ricchezza prodotta dallo sfruttamento dei minerali è finora stata convogliata alla popolazione congolese, di cui il 60 per cento vive al di sotto della soglia di povertà.
In passato, le aziende statunitensi possedevano grandi miniere di cobalto in Congo, ma negli ultimi anni la maggior parte di queste è stata venduta a società cinesi. Il South China Morning Post descrive la Repubblica Democratica del Congo (RDC) come "l'epicentro degli investimenti cinesi in Africa". Un cambiamento generato dalla significativa diminuzione degli investimenti statunitensi. Ad esempio, nel 2016, la società mineraria statunitense Freeport-McMoRan ha venduto il sito di estrazione di rame e cobalto Tenke Fungurume alla China Molybdenum Company. Nel 2020, Freeport-McMoRan ha venduto un altro sito non sviluppato di rame e cobalto alla stessa azienda cinese. In entrambi i casi, le uniche offerte competitive provenivano da aziende cinesi.
Tra le principali imprese cinesi operanti in RDC ci sono Chengtun Mining, China Molybdenum, China Nonferrous e Huayou Cobalt. Secondo l'Istituto di studi strategici (Ssi) dello US Army War College, le imprese statali e le banche cinesi controllano l'80% della produzione totale di cobalto congolese. Delle dieci miniere più grandi al mondo, nove si trovano nella regione del Katanga, nel sud della RDC, e la metà di queste è di proprietà cinese. Nella raffinazione del cobalto, le imprese cinesi dominano con una quota compresa tra il 60% e il 90% della fornitura globale. Inoltre, il 67,5% del cobalto raffinato in Cina proviene dalla RDC.
Ed ecco che entra in scena l'M23 (Movimento del 23 marzo), sostenute dal Rwanda, un gruppo ribelle attivo nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), fondato nel 2012 da ex membri del Congrès National Pour La Défense Du Peuple (CNDP), un precedente movimento armato. Il nome deriva dalla data del trattato di pace del 23 marzo 2009, che prevedeva l'integrazione dei ribelli nell'esercito regolare congolese e misure per risolvere le questioni relative alla nazionalità dei Banyamulenge, una comunità di origine ruandese nella RDC. L'M23 sostiene di difendere, appunto, i diritti del popolo locale e di combattere le Forze Democratiche per la Liberazione del Ruanda (FDLR), un gruppo armato composto principalmente da Hutu ruandesi coinvolti nel genocidio del 1994.
Ma dietro Kigali e l’M23 c’è l’occhio silente di Washington che ha tutto l’interesse di colpire gli intensi rapporti economici del Congo con Pechino. Paul Kagame, attuale presidente del Rwanda, è infatti una figura strettamente legata agli Stati Uniti, da cui riceve sostegno militare e finanziario.
Ora Kinshasa guarda ad una possibile alleanza con Mosca. Esperti e analisti politici congolesi che hanno parlato al quotidiano 7sur7 ritengono che l’offensiva dei ribelli potrebbe portare a una crisi regionale più ampia, ma il sostegno della Russia alla RDC sarebbe un’alternativa utile per risolvere la crisi.
Nel merito, i ricercatori citati dalla pubblicazione affermano che la cooperazione con Mosca potrebbe includere la condivisione di informazioni, compresi i dati satellitari sui movimenti e sui punti strategici degli avversari, il rafforzamento della cooperazione militare e, se possibile, l'intervento di forze speciali russe o paramilitari per operazioni di commando specifiche.
Inoltre, per quanto riguarda il settore economico, ritengono che lo sviluppo di scambi tra la Repubblica Democratica del Congo e la Russia possa facilitare l'integrazione della RDC nei BRICS per promuovere il suo sviluppo economico e strategico.
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