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Il gioco di Donald Trump contro l’Iran negli accordi tra Israele e Hamas

Prosegue sul filo del rasoio l’iter delle varie fasi concordate nei negoziati tra Israele e Hamas.
Questa mattina sono state liberate le quattro soldatesse ostaggio del Movimento Islamico di Resistenza, rilasciate in cambio di 200 prigionieri palestinesi, come parte dell’accordo.
Si tratta di Arina Ariev, Daniella Gilboa, Naama Levy e Liri Albag, trasferite in Israele dalla Croce Rossa dopo 477 giorni di prigionia e affidate all'IDF. Nel frattempo, gli autobus che trasportano i detenuti palestinesi liberati oggi da Israele hanno lasciato le prigioni di Ofer, situata in Cisgiordania, e di Ktziot, nel deserto del Negev. Di questi, 70 sono stati trasferiti in Egitto.
Per l’occasione, il portavoce di Hamas, Hazem Qassem, ha detto che una delegazione del movimento guidata dal Mujahid Mohamed Darwish, presidente del Consiglio direttivo e del Consiglio della Shura del gruppo, si recherà al Cairo in visita ufficiale per incontrare funzionari egiziani. 
In piazza Saraya a Gaza City, nelle prime ore del mattino, un’enorme folla di miliziani armati a viso coperto si è radunata per celebrare lo scambio. Le quattro soldatesse ventenni sono salite sul palco in un clima festante, tenendo in mano alcune buste regalo, consegnate loro come souvenir da Hamas.
Le giovani erano tra le sette soldatesse rapite dell’unità di sorveglianza dell’Idf presso la base militare di Nahal Oz, dove i miliziani di Hamas fecero irruzione il 7 ottobre 2023, uccidendo 52 soldati israeliani.
Difficile stabilire quando arriverà la prossima liberazione. Nel frattempo un’organizzazione che rappresenta le famiglie dei prigionieri israeliani ancora detenuti a Gaza sta chiedendo ai propri concittadini di scendere in strada questa sera per fare pressione sul governo affinché continui a promuovere il cessate il fuoco, in modo che il resto dei prigionieri venga rilasciato.
"Non ci fermeremo finché non vedremo tutto il ritorno di ritorno a casa: i vivi alla riabilitazione e i morti per una sepoltura adeguata… “L’attuale accordo deve concludersi solo con il ritorno di tutti i sequestrati, secondo modalità e tempi noti in anticipo”, si legge un post su X del gruppo.
Tuttavia, la recente distensione sembra percorrere un crinale molto pericoloso per il governo di Tel Aviv. Le dichiarazioni di alti funzionari israeliani hanno lasciato intendere il desiderio dei vertici del governo di tornare in guerra a Gaza nella seconda fase dell’accordo di cessate il fuoco, prima che tutti i prigionieri siano stati rilasciati. Tra i falchi c’è il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, che lega la sua permanenza nel governo alla garanzia che la guerra non finirà senza la completa sconfitta militare di Hamas.
Intanto la regione continua ad essere infiammata di violenza: Al Jazeera Arabic segnala che almeno tre palestinesi sono stati feriti dai proiettili israeliani in via Salah al-Din, nel centro della Striscia di Gaza. 


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Benjamin Netanyahu © Imagoeconomica


In Cisgiordania i coloni israeliani hanno intensificato i loro attacchi contro i palestinesi: un gruppo proveniente da insediamenti illegali ha fatto irruzione nel villaggio di Tuba, nel sud della regione occupata, incendiando una casa e un veicolo appartenente ai residenti.
Il quotidiano Times of Israel ha affermato che l'attacco è avvenuto subito dopo che i prigionieri palestinesi erano stati rilasciati stamattina.
Proprio in Cisgiordania, pochi giorni fa, Israele aveva lanciato un’operazione congiunta dell’esercito e dei servizi segreti dello Shin Bet contro alcuni gruppi che componevano la resistenza armata. L’operazione, denominata “Muro di ferro” e annunciata dal primo ministro Benjamin Netanyahu, era iniziata con un attacco drone su Jenin e, a seguire, un intervento delle forze speciali, mirato a “sradicare il terrorismo” e rafforzare la sicurezza nella regione, secondo Netanyahu. Il bilancio iniziale era stato pesante: sette palestinesi uccisi e almeno 35 feriti, stando alle autorità sanitarie locali. Hamas e la Jihad islamica avevano esortato alla resistenza armata, definendo l’operazione un genocidio contro il popolo palestinese.
A pesare ancora di più, però, era stata l'ombra dell'Autorità nazionale palestinese dietro questa operazione. Stando agli accordi di Oslo (mai rispettati da Israele), Jenin era in Area A, quindi sotto amministrazione del governo palestinese. E, tra le altre cose, all'esercito israeliano avrebbe dovuto essere proibito l'accesso nell'area. Si tratta forse l'ennesimo dell’ennesimo "lascia passare" dell'ANP per reprimere il dissenso della popolazione nei confronti del governo di Abu Mazen ed evitare un'insurrezione popolare.


Il gioco di Donald Trump contro l’Iran negli accordi tra Israele e Hamas

Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, basandosi su fonti governative di alto livello, la recente tregua a Gaza tra il governo di Netanyahu e la leadership di Hamas sarebbe stata influenzata dall’intervento di Steve Witkoff che, in qualità di inviato speciale di Trump per il Medio Oriente, avrebbe esercitato pressioni sul leader israeliano, imponendo l’accordo.
Obbiettivo del tycoon sembra essere quello di riportare in auge gli accordi di Abramo, promossi anni prima dalla sua amministrazione e siglati durante il suo mandato con Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco e Sudan, miranti a rafforzare la posizione di Israele in Medio Oriente, indebolendo l’asse della resistenza che vede al vertice l’Iran. Il magnate newyorkese ha infatti annunciato l’intenzione di ripristinare la politica della “massima pressione” su Teheran che rende necessario l’appoggio dell’Arabia Saudita.
Pochi mesi fa, infatti, il principe saudita, Mohammad bin Salman aveva interrotto le relazioni diplomatiche formali con Israele fino a che non ci sarà una prospettiva concreta per la creazione di uno stato palestinese indipendente con Gerusalemme Est come capitale.
In questo contesto, anche la Russia gioca il suo ruolo. Vladimir Putin e il presidente iraniano Masoud Pezeshkian, hanno recentemente firmato un accordo di cooperazione che prevede collaborazioni in ambiti come il controllo degli armamenti, la sicurezza internazionale, le esercitazioni militari, e la gestione delle emergenze.

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