Ore convulse a Doha dove le parti stanno ultimando l’accordo. Netanyahu convoca i vertici dell’esercito per decidere
In Qatar si è arrivati a una svolta tra gli attori in campo per un accordo di cessate il fuoco sulla Striscia di Gaza. Nelle ultime ore sono arrivate importanti conferme: lo dicono i media israeliani che forniscono anche alcuni dettagli di quella che sempre più soggetti definiscono un’intesa imminente; lo dice il ministro degli Esteri di Tel Aviv, Gideon Saàr, che ha parlato di “progressi” e ribadito il protrarsi dell’intenso lavoro per giungere a un accordo; lo dice anche Hamas che in un comunicato si è rivolto direttamente ai prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane dice loro che “la liberazione si avvicina“. Lo ha affermato anche il consigliere per la Sicurezza nazionale Usa, Jake Sullivan, in un briefing con i giornalisti. Al momento manca solo una voce: quella di Muhammad Sinwar, fratello dell’ex capo di Hamas Yahya Sinwar, ucciso a ottobre dall’esercito d’Israele nella Striscia. A lui l’ultima parola dal lato dei palestinesi perché è lui, dicono gli israeliani, che coordina la complessa rete di gestione degli ostaggi. Nel frattempo, però, le bombe israeliane non hanno smesso di piovere nella Striscia. Almeno 45 palestinesi sono rimasti uccisi dalle prime ore di oggi nell’enclave. Le vittime dal 7 ottobre sono 46.584 secondo il ministero della Salute palestinese. I palestinesi di Gaza chiedono con forza lo stop delle ostilità e il cessate il fuoco permanente. Quest’oggi “la svolta è arrivata dopo i colloqui avvenuti nella notte tra il capo del Mossad David Barnea, il primo ministro del Qatar al Thani e l’inviato di Trump in Medio Oriente Steve Witkoff“, dicono le fonti. Nelle ore cruciali delle trattative sono circolati alcuni dettagli sulle richieste dell’una e dell’altra parte. La più importante è quella di Israele che, come già nei mesi scorsi, ha ribadito la volontà di creare una zona cuscinetto di circa 1,5 chilometri lungo il confine di Gaza che rimarrà sotto il controllo israeliano, secondo quanto riportato dal Times of Israel. Si tratterebbe del margine di protezione più volte invocato da Tel Aviv per prevenire altri attacchi via terra come quello del 7 ottobre 2023. Una richiesta sempre respinta dalla controparte palestinese, contraria alla concessione di territorio da far occupare alle forze militari dello Stato ebraico. In precedenza, un’area di 300 metri era stata considerata come zona cuscinetto: sebbene non vi fosse alcuna presenza delle Idf, c’era un accordo secondo cui le truppe avrebbero sparato a coloro che fossero entrati in quel territorio. In cambio Israele dovrà comunque abbandonare la Striscia di Gaza. Un processo che avverrà in più fasi, come evidenzia anche il quotidiano Al-Quds Al-Arabi. Nelle prime due tranche di questo ritiro, in parallelo, dovrebbe avvenire anche la liberazione sia dei rimanenti ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas sia quella di migliaia di prigionieri palestinesi imprigionati nelle carceri di Israele. Tel Aviv ha precisato di aver bisogno di sapere quanti degli ostaggi siano ancora vivi prima di accettare un numero sui palestinesi da liberare, ma su uno di loro ha già messo il proprio veto: l’ex leader del braccio armato di al-Fatah, Marwan Barghouti, condannato a cinque ergastoli e che potrebbe risvegliare l’entusiasmo dei militanti più laici. Motivo per cui la sua liberazione non è ben vista non solo da Israele, ma nemmeno dalla leadership di Fatah e di Hamas per paura che possa attirare consensi e, di conseguenza, toglierli agli altri leader. Il veto, però, non ha colpito solo Barghouti, ma anche altri nove leader, tra cui Ahmad Saadat, capo del Fronte popolare per la liberazione della Palestina che ha progettato l’assassinio del ministro israeliano Rehavam Zèevi nel 2001, insieme ad altri alti membri militari di Hamas e del Jihad Islamico. Per evitare una crisi nei negoziati, le parti hanno concordato che il rilascio dei detenuti sarà discusso dopo il completamento della prima fase dell’accordo. Il clima, nonostante i punti ancora da far combaciare, rimane però positivo. Secondo Channel 12 “i dettagli dell’accordo per la liberazione degli ostaggi sono stati concordati e ora si attende una risposta definitiva da parte di Hamas”. Il piano prevede un accordo in tre fasi che inizierebbe con la liberazione di circa 34 israeliani della ‘lista umanitaria’. Poi, il 16esimo giorno del cessate il fuoco, le parti inizieranno a discutere la seconda fase che prevederà il ritorno dei giovani e dei soldati. Nella terza fase le parti discuteranno del governo alternativo nella Striscia e della riabilitazione di Gaza. Al-Arabiya aggiunge che la prima fase durerà 42 giorni, durante la quale Israele si ritirerà da diverse aree dove i residenti palestinesi ritorneranno, con anche un aumento del volume degli aiuti umanitari. “I negoziati su alcune questioni fondamentali hanno fatto progressi e stiamo lavorando per concludere al più presto ciò che resta da fare”, hanno confermato fonti di Hamas. Mentre informatori israeliani dicono che nel partito armato palestinese si sta in realtà attendendo il via libera di Sinwar. In un comunicato, il Movimento Islamico di Resistenza ha lanciato un messaggio al proprio popolo e a tutti i prigionieri nelle carceri israeliane che fa ben sperare sul raggiungimento di un’intesa: “Rinnoviamo il patto con il nostro popolo fedele e paziente e con i nostri eroici prigionieri nelle prigioni e affermiamo che abbiamo un appuntamento con la loro imminente liberazione”. Nel frattempo il canale israeliano Kan ha riferito che l'esercito di Tel Aviv ha smantellato le sue attrezzature e basi e le ha ritirate dall'asse Netzarim (nella parte centrale di Gaza). L'altro corridoio, denominato Filadelfi, si trova a sud, al confine tra l'Egitto e la striscia di Gaza. Intanto Benjamin Netanyahu, ha convocato una riunione sulla sicurezza con i vertici delle forze di sicurezza. Lo riporta Ynet. Tra gli argomenti discussi, secondo i media israeliani, anche la questione di quando sottoporre all'approvazione di tutti i membri del governo un accordo di cessate il fuoco con Hamas. Un accordo richiederebbe l'approvazione del gabinetto di sicurezza e del governo, ma non il voto della Knesset. L’accordo, secondo media sauditi, potrebbe essere annunciato stasera o domani mattina, ma che non entrerebbe in vigore prima di mercoledì prossimo, 22 gennaio.
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