Il leader ucraino a Sky News: il Paese ne ha bisogno o Putin ritornerà. Ma è stato il potenziale ingresso nell’Alleanza a generare il conflitto
Continua a suscitare scalpore l’ostinazione ucraina per soluzioni negoziali senza via d’uscita per raggiungere una vera pace nel conflitto.
In un’intervista rilasciata su Sky News, il presidente Volodymyr Zelensky si è detto pronto a un accordo per il cessate il fuoco, anche senza la restituzione dei territori occupati, ma a patto che l’Ucraina ottenga l’ingresso nella Nato.
“Se vogliamo porre fine alla fase calda della guerra, dobbiamo prendere sotto l’ombrello della Nato il territorio dell’Ucraina che abbiamo sotto il nostro controllo…Dobbiamo farlo in fretta. E poi sul territorio (occupato, ndr), l’Ucraina può riportarli indietro in modo diplomatico“, ha detto Zelensky, mentre oggi, sotto la pressione dell’avanzata russa nell’est del Paese, ha licenziato il comandante delle truppe di terra Oleksandr Pavliuk, in carica per soli nove mesi, nominando al suo posto Mykhailo Drapatyi.
Il leader ucraino ha aggiunto che la NATO dovrebbe “immediatamente” proteggere le aree del Paese ancora sotto il controllo di Kiev, sottolineando come questa misura sia di vitale importanza. “Ne abbiamo un disperato bisogno, altrimenti Putin tornerà”, ha avvertito.
Riguardo al ritorno di Donald Trump, ha espresso la volontà di collaborare direttamente con lui per garantire che l’Ucraina possa continuare a contare sul supporto americano. “Dobbiamo lavorare con il nuovo presidente per ottenere il più grande sostegno possibile”, ha dichiarato Zelensky, ponendo l’accento sull'importanza di una comunicazione diretta: “Voglio lavorare direttamente con lui, perché ci sono voci diverse tra le persone che lo circondano. Non dobbiamo permettere a nessuno di minare la nostra comunicazione”.
La proposta del leader ucraino, lungi dal rappresentare una soluzione definitiva al conflitto, contiene, paradossalmente, i principi della sua genesi.
È stato proprio il crescente espansionismo dell’Alleanza a spingere Putin ad attaccare l’Ucraina. Lo ha ammesso lo stesso segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, alla Commissione affari esteri del Parlamento europeo del 7 settembre 2023.
“Il contesto era che nell'autunno del 2021 il presidente Putin aveva dichiarato, e inviato di fatto, una bozza di trattato che voleva che la Nato firmasse, promettendo di non espandere la Nato ulteriormente. Questo è ciò che ci ha inviato. Ed era una precondizione per non invadere l'Ucraina. Ovviamente non l'abbiamo firmato… L'abbiamo rifiutato. Quindi è andato in guerra per impedire che la Nato, ancora la Nato, si avvicinasse ai suoi confini", dichiarò in quel contesto.
Al contempo, un articolo di Foreign Affairs rivelava che nel marzo 2022, russi e ucraini avevano quasi raggiunto un accordo che avrebbe garantito all’Ucraina uno status di neutralità permanente, rinunciando all’adesione alla NATO, pur lasciando aperta la possibilità di entrare nell’UE. In cambio, Mosca avrebbe accettato garanzie di sicurezza multilaterali e negoziati sulla Crimea.
Secondo Oleksiy Arestovych, ex consigliere di Zelensky, l’accordo sarebbe stato “il più redditizio possibile”, ma i partner occidentali di Kiev si mostrarono riluttanti a impegnarsi, temendo nuove responsabilità nel garantire la sicurezza dell’Ucraina. Questo scenario, confermato anche da dichiarazioni di Zelensky nel marzo 2022, si arenò definitivamente nel maggio dello stesso anno.
Gli autori Samuel Charap e Sergey Radchenk riferivano che il trattato preliminare, redatto in gran parte dall’Ucraina, includeva obblighi precisi per gli Stati garanti (compresi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e altri Paesi) di intervenire militarmente o imporre no-fly zone in caso di aggressione. Tuttavia, l’intervento occidentale, tra cui il viaggio a Kiev dell’allora premier britannico Boris Johnson, sembrerebbe aver contribuito a inasprire le posizioni. Johnson dichiarò sprezzante che “non avrebbe firmato nulla” con Mosca, rafforzando la determinazione ucraina a continuare la guerra.
La pubblicazione sottolineava, in sostanza che, nonostante gli sforzi di negoziazione persino dopo la strage di Bucha, la ritrovata fiducia degli ucraini e l’appoggio occidentale hanno smorzato l’interesse per la diplomazia. Un calcolo che ha avuto un costo umano devastante, sacrificando un’intera generazione ucraina per alimentare il business dell’industria degli armamenti.
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