Dal libro del giornalista e scrittore Raffaele Oriani
È passato un anno dal 7 ottobre: un anno di massacri di uomini, donne e bambini indifesi; un anno di sangue; un anno all'insegna della codardia e del più basso servilismo.
Di cosa si parla? O meglio, di chi si parla?
Si parla di quell'accompagnatore che, sin dagli inizi del genocidio, ha incensato la mattanza con una soave musica di sottofondo, accuratamente cucita su tutte le prima pagine dei giornali mainstream, con lo scopo di renderla accettabile, impercettibile, quasi 'normale'.
All'inizio la 'scorta mediatica' girava tutta sul punto della 'legittima difesa di Israele', poi, quando il numero di bambini uccisi ha iniziato a salire (assieme alla sete di sangue dei leader sionisti) ha cambiato manovra cercando di rendere la narrazione il più digeribile possibile al grande pubblico.
Tutto questo, e molto di più, è contenuto nel libro 'Gaza, la scorta mediatica' (Ed. People) scritto dal giornalista e scrittore Raffaele Oriani che, appena si rese conto della indifferenza redazionale e dirigenziale verso il massacro di civili a Gaza scrisse una lettera di congedo agli oltre trecento colleghi del quotidiano 'Repubblica'.
Cosa accadde?
"La lettera di congedo è un sasso nello stagno" scrive Oriani. Da allora la stampa italiana, e di tutto l'occidente, ha tirato dritto: invece di denunciare ha continuato a giustificare.
"Questa strage di famiglie, donne e bambini si sta compiendo senza che nessuno dei grandi giornali o delle grandi reti televisive italiane sia mai riuscito a esprimere una parola di condanna sui suoi responsabili; nemmeno quando Israele attacca gi stessi giornalisti.
Un esempio lampante viene offerto dal corrispondente palestinese di Repubblica Sami al Ajrami che denunciò l’arresto da parte israeliana di una troupe di Al Jazeera scrivendo che "Israele vuole mettere a tacere la stampa in modo che nessuno conosca cosa si nasconde dietro le loro operazioni". Ebbene il suo giornale titolò l’articolo "Stretti tra i combattimenti e il rischio di finire in manette. La solitudine dei giornalisti".
E per quanto riguarda le strutture sanitarie e le uccisioni dei pazienti (soprattutto bambini)?
"Non si capisce perché uccidano anziani, donne, bambini. Non si capisce perché abbiano fatto esplodere tutte le università, distrutto quasi tutti gli ospedali, raso al suolo le scuole, ridotto in macerie tra il 60 e il 70 per cento delle case di città dove vivevano oltre due milioni di persone" ha documentato Oriani; ed anche in questi casi la 'stampella' dei giornali ha fatto il suo dovere riproponendo fino alla nausea il "mantra dell’autodifesa" e rigirando la frittata contro le vittime.
È una strategia unica, quella dell'occidente, che si può riassumere nella domanda divenuta la più famosa in tutte le trasmissioni televisive di basso livello: "Lei condanna Hamas?"
"Dopo decine di migliaia di morti questa domanda ora suona blasfema, e carica di vergogna chi la pronuncia. Perché una soluzione che implichi il sacrificio a freddo di migliaia di bambini non appartiene alla sfera dell’umanità, perlomeno non dell’umanità cui eravamo abituati fino a qualche mese fa. Con leggerezza incredibile, siamo usciti da un perimetro di civiltà per entrare in una zona oscura in cui ogni valore è ridotto a copia grottesca di se stesso."
Certamente non "c’è giustificazione al massacro del 7 ottobre che, come ha detto Rony Brauman, ebreo anti-sionista ex presidente di Medici senza frontiere, ha sfigurato il volto della resistenza palestinese".
Ma è altrettanto vero che la mattanza dei pargoli che sta venendo portata aventi da Israele fa decadere ogni pretesa di ragione su ciò che è accaduto.
Per gli amanti dei numeri: il 7 marzo di quest'anno l’agenzia Agi fa giustamente il punto su cinque mesi esatti di massacri: "Quel giorno oltre 1.100 persone furono trucidate. La reazione di Israele ha provocato almeno 30.800 morti".
E il numero di morti sale come l'ebrezza del sangue.
Le dichiarazioni delle autorità israeliane lo provano: "il 13 dicembre, la parlamentare Revital Gotliv dichiara che 'non ci sono civili innocenti a Khan Younis. Tutti meritano di morire. Bisogna bombardarli senza pietà, e se Biden o qualche altra anima bella si fa problemi per questo, che ci vadano loro a Gaza!'. Gotliv appartiene al Likud, partito del premier Netanyahu. Meirav Ben Ari è invece una parlamentare della formazione moderata di Yair Lapid. Il 17 ottobre sostiene alla Knesset che 'non c’è nessuna equivalenza tra bambini ebrei e bambini palestinesi'. Alla collega araboisraeliana Aida Touma-Sliman che ribatte, scandalizzata, che 'un bambino è un bambino', Ben Ari ribadisce: 'Non c’è equivalenza! I bambini di Gaza se la sono cercata!'. È la colpa di essere nati, di cui, proprio a proposito di bambini israeliani e palestinesi, ha parlato la senatrice a vita Liliana Segre. Ma la grande stampa italiana non nota questi eccessi, che sono sempre meno eccessi e sempre più la regola di un dibattito in cui, come dice Gideon Levy, trattare i palestinesi da esseri umani 'è ormai diventato un tabù'".
E poi c'è l'ultima impenetrabile linea di difesa alle accuse: essere bollati di antisemitismo. Eppure, riporta Oriani, mai come in questo momento storico una vastissima comunità ebraica fatta di "giornalisti, storici, attivisti, giovani e soprattutto anziani, gente comune e gente che da ottant’anni porta ferite che non vogliono guarire" si è schierata "senz’alcuna esitazione contro lo sterminio".
Quindi chi è veramente antisemita?
"Chissà se Israele si rimetterà mai da quest’orgia di sangue. E chissà che ne faremo noi, di tutti i cantori del sangue che abbiamo ospitato nei nostri giornali e nelle nostre televisioni".
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