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In ordine alle notizie mediatiche recentemente apparse sugli organi di stampa sento il dovere istituzionale di effettuare alcune precisazioni.
Prescindendo da quelle che saranno le difese e le richieste che LiberJato farà nelle sedi deputate a valutare la legittimità della cancellazione patita, l’Associazione (per quanto possa sembrare paradossale) ritiene che quanto stia accadendo sia una formidabile occasione per discutere finalmente di un problema che da tempo l’associazionismo serio aveva portato all’attenzione delle Istituzioni ma che non aveva mai ricevuto la necessaria attenzione.
Vorrei partire da un concetto che la nota Prefettizia ricevuta da Liberjato correttamente contiene, ovvero che scopo principale dell’associazionismo antiracket deve essere considerato lo 
"svolgimento dell'attività di sensibilizzazione delle vittime alla denuncia degli autori dei reati in materia di estorsione e usura a cui sono chiamate le associazioni, compromettendone l'affidabilità"

Su questo punto chi scrive può concordare incondizionatamente.

Ciò che sembra del tutto estraneo alla realtà per alcune informative che ci sembrano ingiustificabili è l'affermazione per cui: 
"non potendo l'associazione in argomento fornire apporto collaborativo alle Forze di polizia ai fini dell'attività di prevenzione e contrasto dei fenomeni del racket e dell'usura, il Gruppo interforze propone al Prefetto di cancellare l'associazione LiberJato dall'elenco prefettizio di cui al D M 220 del 24 ottobre 2007.... 
PRESO ATTO che, rispetto all'attività dell'associazione, la stess si è limitata, esclusivamente, a partecipare a convegni e a rappresentazioni culturali e di solidarietà ovvero alle attività connesse alla costituzione di parte civile nei procedimenti penali di cui si è già riferito;"

Ed il riferimento viene fatto a quattro costituzioni di parte civile dal 2013 al 2016. Va anzitutto precisato che l’associazione, per propria politica, non si è mai costituita parte civile se nello specifico processo non ha accompagnato la vittima nella propria correlata costituzione di parte civile, proprio per scongiurare quel business di cui tanto si è discusso. 
Ma va precisato, inoltre, che Liberjato è una delle poche che tale politica ha seguito anche del tutto gratuitamente. Come quanto ha accompagnato nella costituzione di parte civile due commercianti partinicesi – anch’essi costituiti – in un processo di estorsione per cui il proprio legale non ha percepito – né mai percepirà – alcun compenso perché non previsto dalla normativa vigente.
Il processo ( che è proprio quello indicato 209/2013 R.G.N.R. – 185/2013 R.G.G.I.P. nella nota) è stato celebrato gratuitamente e con il solo scopo di supportare chi ha avuto il coraggio di denunziare e si è concluso con la condanna dell’estortore T.G.B. ad anni 3 e mesi otto di reclusione per estorsione.
L’avvocato delle vittime e dell’associazione, per ciò, non è e non sarà pagato.
Sarebbe stato bello se si fosse precisato che l’associazione si è si costituita parte civile nel processo 17810/10 R.G.N.R. – 11576/13 R.G.G.I.P. nei confronti di SCIORTINO ANTONINO nato a Camporeale il 25/05/1962 + 60 accompagnando prima la vittima e poi i suoi eredi, rinunziando alla liquidazione delle spese legali per l’attività dell’associazione per non gravare sulle casse dell’erario.
Ma soprattutto sarebbe stato bello se fosse stato precisato che proprio grazie alla sinergia con le FFOO territoriali l’associazione ha – nell’esiguo tempo cui ha potuto operare nel territorio – prodotto ben 35 denunzie per gravi fatti estorsivi che sono oggi all’interno di importanti arresti ed operazioni come Visir, Kelevra, od il processo Vitale e che vedono decine di indagini in corso.
Sarebbe stato bello se si fosse detto che oltre a vari danneggiamenti e minacce il suo presidente, per “colpa” proprio dell’attività di sensibilizzazione alla denunzia, ha subito il vile assassinio del proprio cane e che nel processo ci sono fior di intercettazioni ambientali che ne certificano la causa. Sarebbe stato bello se si fossero citate le denunce degli Amato in almeno tre provincie siciliane.
Ma dare atto di tutta questa attività insieme alle controindicazioni soggettive contenute nella nota sarebbe significato ammettere che le Istituzioni, la normativa vigente ed il raccordo tra vari Organi dello Stato, oggi, più di ieri, ha un problema enorme.
Un conto è infatti addebitare questo o quell’atteggiamento ad una costola della società civile un altro è prendere atto di sempre più frequenti momenti di black-out istituzionale.
Buio determinato – si badi – non da condotte intenzionali o per così dire dolose, ma da un assurdo ed incomprensibile vuoto normativo.
Non è normale che la Procura della Repubblica ammetta un imprenditore al fondo speciale vittime della mafia (come per i Virga di Marineo) e che lo stesso imprenditore – che con le sue denunzie nelle more ha fatto arrestare diverse personalità di spicco della C.O. – subisca un sequestro di prevenzione.
Non è normale che quell’imprenditore depositi alla prima udienza le dichiarazioni di numerosi e pregievolissimi rappresentanti delle forze dell’Ordine che danno conto dell’importante apporto collaborativo nell’ambito della repressione di crimini mafiosi.
Non è normale che Amodeo, imprenditore trapanese nelle condizioni di cui sopra, alla prima udienza chieda di sentire il Capo della Squadra mobile, che ne canta le lodi.
Non è normale che imprenditori che subiscono – da un lato – interdittive della Prefettura, siano piuttosto – dall’altro lato - encomiati dalla Locale Procura della Repubblica per l’apporto ricevuto nei processi pendenti in termini di piena ed incondizionata testimonianza contro i criminali e siano addirittura destinatari di risarcimenti danno e provvisionali a carico dei mafiosi.
A questo proposito si può citare il caso degli Amato di Liberjato il cui padre ha scontato interamente la pena ed in conseguenza ha subito la confisca dei beni ma poi, una volta toranto libero, sospinto dai figli, ha denunciato il suo estortore costituendosi parte civile e testimoniando in aula. In quel caso ottenne il risarcimento e da allora i figli, con la loro impresa hanno denunciato innumerevoli volte facendo arrestare malviventi e avviare indagini che sono ancora in corso.
Tutto ciò non è normale perché lo Stato più di qualsiasi altro Ente o Privato non può permettersi l’INCOERENZA.
Oggi, molto più che un tempo, o sei contro o sei con cosa nostra.
Non esistono zone d’ombra, aree grigie o larvati intenti collusivi (quello stadio è già - oggi - MAFIA nella sua peggiore espressione omertosa) .
Ed allora – ed è questo il vuoto normativo cui si faceva prima riferimento – lo Stato non può non prendere una posizione decisa nei confronti di soggetti (e la Sicilia ne è ricolma) che pur avendo vissuto periodi della loro vita in cui non avrebbero denunziato neanche se avessero trovato uno stop rotto nella propria auto perché in quel preciso momento storico non solo non era iniziata alcuna rivoluzione culturale (che oggi invece è in corso) ma imperava l’omertà più buia, oggi abbiano fatto una scelta secca e decisa affiancando le FFOO e denunziando cose, fatti e circostanze che prima non si sarebbero mai sognati di dire se non addirittura di pensare.
Se questi soggetti non sono mai stati attinti da nessun provvedimento, né sono mai stati condannati o persino indagati, ma come più sempre accade sono le nuove generazioni espressione di un diverso modo di pensare, può lo Stato punirli per il sol fatto di fare impresa in territorio Siciliano ed avere parentele controindicate dal cui modo di fare si sono comprovatamente dissociati?
Può lo Stato – nella sua espressione Ministeriale-Prefettizia - ignorare la collaborazione con le FFOO e le Procure nel difficile percorso teso ad incastrare gli imputati contro cui questi imprenditori testimoniano, risucchiandoli nel vortice delle informative antimafia interdittive?
Perché se è vero che la denunzia deve oggi essere considerato un dovere morale prima ancora che civico o giuridico, il messaggio che lo Stato trasmette nei confronti di chi (con più fatica di altri essendo inserito in un contesto anche familiare difficile) trova questo coraggio non può essere né di indifferenza, né, men che meno di accanimento amministrativo, perché per crescere ed educare i propri figli (ogni genitore di buon senso lo sa) ci vuole determinazione, valori e principi, ma soprattutto ci vuole coraggio….di scelta e di azione.
E’ ora che finalmente se ne parli e non “così per dire”, o a fini congressuali o di studio, ma con azioni e gesti concreti.

Francesco Billeci
presidente di LiberJato

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