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tornatore giuseppeA(b)Braccio # Ninni Panzera

Nella mia vita ho potuto assaporare – e una volta soltanto – l’emozione travolgente di passare, in poco tempo, dalla polvere alle stelle. Mi è capitato con un amico: il suo nome è Peppuccio Tornatore.

Dicembre 1988. Da qualche mese è uscito nelle sale il suo secondo film, Nuovo Cinema Paradiso. Un fiasco clamoroso, un insuccesso di quelli che lasciano il segno. A me il film era piaciuto moltissimo. La versione di due ore e mezza. Non nascondo di essermi commosso più volte. Sembrava una parte della mia vita trasportata sullo schermo.

Ma come era possibile che questo film fosse andato così male in tutta Italia? Smontato dopo il primo week-end in tutte le città italiane. Tranne a Messina, dove un esercente innamorato del suo lavoro e del film, inventa uno stratagemma. Non fa pagare l’ingresso. Lo spettatore paga solo all’uscita, se il film piace. E fu un successo senza precedenti. Messina, l’unica città in Italia ad avere accolto Nuovo Cinema Paradiso e avergli assicurato una tenitura e un successo economico.

Telefono a Peppuccio Tornatore per invitarlo a presentare il film nel mio cineclub, la Saletta Milani. Dall’altro capo del telefono sento subito l’interesse dell’interlocutore a venire a Messina a capire perché una sola città in Italia avesse apprezzato il film, si fosse commossa alle vicende di Totò, avesse amato la storia senza resistenze.

Il 26 gennaio del 1989 si consuma un incontro in una saletta piena fino all’inverosimile per sentire il regista trentatreenne a spiegare, a spargere passione, a parlare di pellicola, di proiettori, di film. Fu un incontro magico. A tratti profetico. Un bagno di folla e di ammiratori. “Una carezza in tempo di schiaffi” – definì Peppuccio quell’incontro. Aperto da una sua frase che ancora oggi richiama felicità: “La sera prima di addormentarmi sogno che Messina sia tutto il mondo. E che il successo avuto in questa città sia replicato in tutto il pianeta”.

Un sogno, un devastante sogno di un giovane regista il cui film della vita era andato terribilmente male. E senza che ci fossero delle apparenti ragioni da giustificare un tale insuccesso. E poco più avanti un’altra frase ricolma di profezia: “Non dico che con questo film voglio vincere un Oscar, ma che almeno possa avere un’altra vita”.

Quell’incontro si chiuse tra interminabili applausi. Incoraggiamenti. Consigli. Peppuccio tornò caricato e pronto a difendere la sua creatura fino all’impossibile.

Se a Messina il film ha avuto quell’accoglienza, può accadere anche in altre città. Un successo che può moltiplicarsi. Passa poco tempo. Un giorno ricevo una telefonata da Mario Natale, un importante ufficio stampa e un collaboratore al Festival di Cannes: “Il tuo amico sarà in concorso a Cannes!”. Ma chi? Peppuccio? Possibile? Sono felicissimo.

La nuova opportunità che richiedeva era forse arrivata. Infiniti applausi alla proiezione della stampa e anche dal pubblico. Divoro i quotidiani e i servizi da Cannes. È tutto vero. Applausi, commenti di grande entusiasmo. E alla fine il Gran Premio della Giuria.

Ma come? Fino a tre mesi prima questo film non piaceva a nessuno e adesso vince un premio così importante? Ma è solo il primo passo. Di successo in successo. Viene candidato all’Oscar e alcuni mesi dopo è il trionfo definitivo. Vincitore dell’Oscar quale miglior film straniero. È l’apoteosi. Dal freddo della polvere dell’insuccesso, al calore seducente e inebriante del successo. Il mio telegramma di congratulazioni fu: “Adesso Messina è tutto il mondo”.

Assistere a questo cambiamento straordinario nel volgere di pochi mesi non è una cosa frequente. Io ho avuto questo privilegio e da allora con Peppuccio ci legano tanti fili. Non è solo un caso. Ho anche incontrato un regista con il quale condivido la visione della vita. La nostalgia di cui sono intrisi i film siciliani, i personaggi, gli ambienti, i modi di dire e le atmosfere. Nuovo cinema Paradiso, L’uomo delle stelle, Malèna e quel capolavoro di memoria che è Baarìa. Ma anche quando approda a film non connessi a tematiche ed ambientazioni siciliane, l’essenza viene fuori. Capolavori come Una pura formalità. Un grandissimo affresco sulla perdita della memoria e dell’identità. Frasi che lacerano l’anima.

E poi La leggenda del pianista sull’Oceano, un tormentato ed estatico navigare tra terre, senza mai conoscere la stabilità della terraferma. Un Novecento che dilania l’anima con la sua musica e che impara a conoscere il mondo, le sue bellezze, attraverso gli occhi degli altri. Dei tanti altri che incontra nella sua vita, sempre e solo sulla nave. E poi i più recenti. La sconosciuta, La migliore offerta e La corrispondenza. Tutti film carichi di suggestione, di introspezioni sottili e raffinate, di personaggi sconfitti, spesso solitari testimoni di una vita che scorre con le sue tante insidie, ma che dal fondo fanno affiorare squarci d’amore, di sentimenti repressi o perduti che scaldano l’anima. È questo il nuovo Peppuccio che ricollega i fili alla storia d’amore di Elena di Nuovo Cinema Paradiso. In fondo amori perduti, amori lontani, che si ripresentano, affiorano dal passato.

Ma c’è anche un Peppuccio molto personale che oggi voglio celebrare. Il grande regista per il quale ho curato due libri, alcune retrospettive e mostre in giro per il mondo: Valencia, Taormina, Tirana, Bari, Los Angeles. E sempre trionfi. Ma il momento più intenso l’ho vissuto con Peppuccio in America, a Los Angeles. Dopo la proiezione della versione restaurata di Nuovo Cinema Paradiso si alza dalla sala un applauso caldo, fragoroso, infinito. Da strozzare il fiato. Venticinque anni dopo, il film ancora piace e commuove come allora. Incrocio lo sguardo di Peppuccio, sinceramente emozionato. In sala ci sono tra gli altri, in piedi ad applaudire, Al Pacino, Nastassja Kinsky, Danny De Vito. Capisco che Peppuccio dentro di sé sta proiettando la sua personale copia del film, sta ripercorrendo quei lunghi anni, sta rivivendo il tormento e l’estasi. Non posso resistere. In quei frammenti di vita ripercorsi, ci sono pure io. La Saletta Milani. Le carezze in tempi di schiaffi. Mi avvicino e con Peppuccio ci avvolgiamo in un silenzioso e intenso abbraccio. Lungo, sincero, commosso, in cui sono racchiusi più di venticinque anni di amicizia, di stima, di affetto.

A Peppuccio Tornatore.
Una dedica in occasione del Premio alla Carriera Taobuk Award

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