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droga panettiTanto rendono i carichi che arrivano a Napoli in un anno Il caso dei soldi riciclati negli Emirati e in altri paradisi fiscali
di Dario Del Porto
Napoli. Il califfato della droga. Mentre nel cuore di Napoli si spara e si muore per controllare le piazze di spaccio, i soldi dei trafficanti finiscono nei paradisi fiscali: a Dubai e nell’Isola di Man, come racconta l’ultima inchiesta che ha illuminato il vero core business della camorra, il mercato degli stupefacenti. In questo affare, le cosche campane sembrano non aver più nulla da invidiare alle ‘ndrine calabresi. Un fiume di cocaina invade quotidianamente l’area metropolitana del capoluogo.
La droga viene importata prevalentemente dalla Spagna e dal Sudamerica, Colombia e Perù soprattutto. Contemporaneamente, milioni di euro finiscono nelle tasche dei boss, in media ottanta l’anno, calcolando gli incassi mensili ricavati dalla vendita al dettaglio sul territorio. «Mio cognato Cesare Pagano (uno dei capi degli “scissionisti” di Scampia n.d.r.) mi disse che per ogni carico la quota era di sei milioni», afferma il pentito Carmine Cerrato. Ma sono cifre che possono cambiare a seconda del mercato. Per avere un’idea basta leggere il verbale di Cerrato quando ricorda di essersi trovato a Sitges, a Sud di Barcellona, in un appartamento utilizzato come “appoggio” dal clan degli scissionisti di Scampia alla vigilia di una transazione fra trafficanti. I camorristi «portarono due scatole contenenti denaro contante pari a 4 milioni 800 mila euro». La droga fu consegnata da uno spagnolo che si presentò «con un fuoristrada che aveva un sistema sotto i sediolini. Partiva dal cofano per andare avanti fino al sedile di guida. Si apriva con delle cordicelle che azionavano scomparti come cassetti». I camorristi conservarono le confezioni di cocaina nella cucina dell’appartamento. «Erano 200 chili», spiega il pentito. La partita di stupefacente fu trasportata in Italia a bordo di un camion «caricato con blocchi di alluminio», quindi divisa fra i gruppi e spacciata.
E poi c’è il riciclaggio, finito al centro di uno dei capitoli dell’indagine dei pm Stefania Castaldi, Maurizio De Marco e Vincenza Marra, che con il procuratore aggiunto Filippo Beatrice e il coordinamento del pm della Direzione nazionale antimafia Maria Vittoria De Simone stanno dando la caccia alla cassaforte dei narcos di Gomorra. Al centro dell’inchiesta, condotta dalla squadra mobile e dal Nucleo di polizia tributaria, c’è un napoletano di 41 anni, Raffaele Imperiale. È incensurato. Nelle telefonate che vengono effettuate per suo conto ad importanti istituti di credito internazionali dal broker genovese Attilio Eugenio Repetti, viene definito, semplicemente, come «un investitore che ha davvero eccellenti referenze bancarie in tutto il mondo».
Ma, per la procura, Imperiale è, insieme a Mario Cerrone, il trafficante di cocaina che ha permesso agli “scissionisti” di Scampia «la rapida scalata al potere criminale in Campania - scrive il giudice nella sua ordinanza cautelare - consentendo di assumere una sorta di monopolio nel riformimento» di stupefacenti. Oggi Imperiale è ricercato. Secondo gli investigatori è ancora a Dubai, da dove, con il contributo di Repetti, muoveva parte dei capitali ricavati dal narcotraffico per riciclarli. Seguendo la pista del denaro, gli inquirenti napoletani hanno individuato tracce di soldi ritenuti provento della vendita della droga che, dall’Olanda, sono transitati prima in una società dell’Isola di Man, per poi essere trasferiti nelle casse di una società spagnola proprietaria di due complessi immobiliari in Spagna: a Villanueva della Canada, vicino a Madrid e in provincia di Burgos. Nelle conversazioni intercettate nel febbraio di due anni fa, Repetti fa riferimento alla «vasta operazione immobiliare in Spagna» e aggiunge: «Siamo capaci di bloccare un’altra operazione importante in un’altra regione vicino al Sud Africa riguardante gioielli, diamanti». In un altro colloquio, il broker riferisce che Imperiale aveva appena incaricato un architetto libanese di realizzare dieci ville a Dubai, ciascuna del valore di 20 milioni di dollari.
Repetti fece anche in modo di far ormeggiare in Grecia un yacht intestato a una società e utilizzato da Imperiale, per la quale veniva pagata una quota assicurativa pari a 35 mila euro allo scopo, dice in una telefonata, «di evitare le rate fiscali, perché in Italia era un disastro, ogni piccola barca è considerata un avere milionario, così l’ho inviata in Grecia». Il professionista genovese si attivò per procurare a Imperiale e Cerrone un documento estero, per consentire ai due (presunti) trafficanti di muoversi liberamente sul territorio internazionale. Anche in questo caso, bastava pagare: per il rilascio di un passaporto diplomatico dello stato sudamericano di Trinidad e Tobago, hanno annotato gli investigatori, era stata chiesta la somma di 150 mila euro, 20 mila come acconto e il resto a operazione conclusa. Spiccioli, per i burattinai del cartello.

Tratto da: La Repubblica

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