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messina-denaro-marioElena Ferrante continua a lavorare nella città di Messina Denaro
di Alessandra Ziniti - 25 gennaio 2014
Castelvetrano. «Io Lorenza la vorrei incontrare. Vorrei parlarle a quattrocchi, le racconterei quello che ho vissuto io, le prospetterei che c’è sempre un’altra strada, che deve essere lei e non “la figlia di...”, senza bisogno di rinnegare nessuno, senza bisogno di fare l’eroina, come eroina non mi sento io».
Elena e Lorenza, la 35enne imprenditrice che si è rifiutata di pagare il pizzo ai Messina Denaro e la 17enne figlia del boss latitante. Due storie che si incrociano in una Castelvetrano, paese natìo e roccaforte incontrastata del capomafia, chiamata improvvisamente a fare i conti con la rivolta di chi davanti alla legge di Cosa nostra non vuole più abbassare la testa. Come Elena Ferraro, che tutte le mattine, dopo aver denunciato il cugino del boss arrivato nella sua clinica a chiederle il pizzo sotto forma di sovrafatturazioni e poi finito in galera, continua come niente fosse ad andare a fare colazione nel bar accanto dove, immancabilmente, incontra i fedelissimi di Matteo che il caffè glielo offrono.
«Caffè pagato per la signora». Elena prende il caffè, ringrazia, se necessario stringe pure qualche mano, saluta e se ne torna al lavoro nel suo ufficio all’ingresso della clinica Hermes, contrada Badia, là dove vivono i Messina Denaro.
«Il 13 dicembre ho passato una notte insonne, sapevo che ero davanti ad un bivio e dovevo scegliere: o chiudermi in una campana di vetro guardata a vista o continuare a fare tranquillamente la mia vita. Ho scelto questa seconda strada e ne sono felice. Continuo a vivere da sola e a lavorare qui a Castelvetrano, senza scorta se non quella della tanta solidarietà e della vicinanza che le forze dell’ordine, le associazioni e le istituzioni mi dimostrano giorno dopo giorno».
Il 13 dicembre per Elena Ferraro è il giorno della paura, quello dell’arresto di Mario Messina Denaro (in foto), il cugino del boss, l’uomo che un anno e mezzo prima si era presentato una mattina nel suo ufficio, aveva chiuso la porta, si era seduto e si era presentato così: «Sono Messina Denaro». «All’inizio, per qualche minuto, ho pensato che potesse essere il latitante, poi mentre lo ascoltavo mi sono detta che non era possibile che fosse lui anche se ha speso tutta la forza di quel nome qui ancora tanto riverito. Ho scoperto dopo che era suo cugino. Sapeva tutto di me, della mia famiglia. Poi è andato al sodo e mi ha proposto “l’affare”. Dovevo sovrafatturare delle prestazioni di ortopedia ai pazienti e mettere da parte, in contanti, il denaro che lui o qualcuno dei suoi sarebbe passato a prendere. “Servono per le famiglie dei detenuti, per pagare gli avvocati. Costano gli avvocati, sa”.
Gli ho detto subito di no, non mi è mai passato in mente di subire. “Non facciamo queste cose noi”, gli ho spiegato mentre lui mi ribadiva che “era il capo di tutto”». Elena Ferraro prosegue: «Ha insistito per due mesi, faceva avanti e indietro. Io avevo avvertito la questura di Trapani e ogni giorno aspettavo che questa storia finisse. E non finiva mai. Poi la mattina del 13 dicembre, una mia cugina, l’unica persona a cui avevo confidato tutto, mi ha chiamato e mi ha detto: “Hanno arrestato Mario”, ormai tra di noi lo chiamavamo così. E allora sì che ho avuto paura. Ma adesso va tutto bene e sono assolutamente tranquilla e padrona della mia vita».
La vita di Elena Ferraro continua ad essere quella di una donna normale, una giovane donna abituata a fare tutto da sola, non sposata e senza figli. Ogni giorno fa avanti e indietro da Montevago, dove abita nella stessa palazzina dei genitori, papà titolare di un’azienda agricola, mamma insegnante in pensione. «A loro non avevo detto niente della denuncia, per non farli stare in ansia. Ora naturalmente sanno tutto e sono orgogliosi di me». Poi tutto il giorno nel suo ufficio di amministratore delegato della Hermes e ora anche sempre più in giro come testimonial delle associazioni antiracket. «Dove mi invitano vado con grande piacere. Le associazioni mi stanno accanto e so che ci saranno anche quando i riflettori su questa vicenda inevitabilmente si spegneranno. Quello che io voglio dire a tutti è che io non ho fatto nulla di eroico, ho fatto solo quello che è nella mia natura. I mafiosi vanno denunciati, devono stare in galera». Aggiunge: «Ma vorrei che il mio non fosse un gesto fine a sé stesso, che servisse per altri imprenditori che hanno paura o che magari utilizzano la mano mafiosa per far crescere le loro aziende, per abbattere la concorrenza, imporre prezzi e leggi di mercato e per dare lavoro».
E Castelvetrano? Il “no” di Elena ha spaccato la città di Matteo Messina Denaro. Qualche giorno dopo l’arresto, una signora di una certa età l’ha fermata in centro mentre stava andando dal parrucchiere: «La volevo ringraziare perché ci sta liberando».
«All’inizio non capivo, poi mi hanno spiegato. Qui a Castelvetrano non è mai successo che qualcuno si sia rifiutato di pagare il pizzo. Qui il nome dei Messina Denaro si continua ancora a sussurrare. E pagano tutti, commercianti, imprenditori, professionisti, medici. Quello che mi fa male sono proprio alcuni commenti che arrivano da questi ambienti. Mi dicono: “Ma chi te l’ha fatto fare di denunciare? C’era bisogno di fare l’eroina. Al limite potevi non pagare ma non denunciare, almeno stavi serena e tranquilla. Cosa sono 2-3000 euro all’anno”. Ho perso qualche amico, perché c’è anche chi da un giorno all’altro mi ha tolto il saluto, ma ne ho trovati molti altri di più. E devo dire che c’è anche un’altra Castelvetrano, quella dei giovani, degli “under 50”. Da quella Castelvetrano continuo a ricevere apprezzamento e solidarietà».
E con Elena sembrano essere le centinaia di ragazzi del liceo scientifico che il vulcanico preside Fiordaliso, una vecchia bandiera dell’antimafia in territorio di frontiera, ha radunato nell’auditorium per partecipare ad un dibattito su “Donne e mafia” con Elena Ferraro e con la presidente della commissione parlamentare antimafia del Parlamento europeo, Sonia Alfano. In quel liceo studiano anche i giovani Messina Denaro, la figlia di Matteo e la figlia della sorella del boss Patrizia. Ma la speranza con cui Elena aveva cominciato la giornata, quella di incontrare la figlia del boss, svanisce. Piuttosto che partecipare alla giornata antimafia Lorenza ieri ha preferito rimanere a casa.

Tratto da: La Repubblica del 25 gennaio 2014

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