di Giovanni Bianconi e Fulvio Bufi - 29 maggio 2014
Ha maneggiato tanti soldi, e gestito appalti per milioni di euro insieme alla politica collusa e all’economia corrotta. «Spesso si confondono i ruoli fra il camorrista, l’imprenditore, il politico e il funzionario, per cui le cose vanno in un certo modo perché tutti hanno interesse che vadano così», dice. Non per autoassolversi, ma perché dal suo punto di vista non sono solo i clan a gestire il sistema: «So benissimo di quanti gravi delitti mi sono macchiato e di come da queste vicende abbia tratto un beneficio anche economico... Però sto spiegando il funzionamento reale di un sistema nel quale non esiste solo la responsabilità della camorra, ma essa è responsabile unitamente ad altri soggetti che dal sistema stesso hanno tratto importanti vantaggi». Fino a trarre una conclusione sulla «mentalità casalese» amara per tutti: «La regola della raccomandazione, dei favoritismi, la cultura delle mazzette e delle bustarelle, prima ancora che i camorristi l’ha diffusa sul nostro territorio proprio lo Stato che invece è stato del tutto assente nell’offrire opportunità alternative e legali alla nostra popolazione. Non voglio allontanare da me la responsabilità che la camorra e io stesso abbiamo avuto, ma probabilmente le nostre condotte sono state anche conseguenza di questo abbandono dello Stato nei nostri confronti». Così ha parlato Antonio Iovine detto ‘o Ninno — cinquant’anni da compiere a settembre, capo dei Casalesi insieme a Michele Capastorta Zagaria, Francesco Schiavone detto Sandokan e Francesco Bidognetti Cicciotto ‘e mezzanotte — nei primi interrogatori in cui ha assunto il ruolo di collaboratore di giustizia davanti ai pubblici ministeri anticamorra Antonello Ardituro e Cesare Sirignano. Quattro verbali sottoscritti fra il 13 e il 24 maggio, e depositati ieri (con i dovuti omissis) davanti ai giudici che stanno processando un gruppo di imprenditori tirati in ballo anche dal neo-pentito.
Omicidi e denaro
Prima degli affari, per Iovine sono venuti i morti ammazzati quand’era ancora un ragazzino; talmente tanti che fatica a tenerne a mente i nomi: «Ho partecipato all’omicidio del vigile urbano di San Cipriano... Ricordo l’omicidio di Griffo Nicola... Poi tale Ciccillo ‘u suricillo ... Un altro omicidio è quello di un uomo di colore a Castel Volturno ... Posso citare il quadruplice omicidio di Pagano-Mennillo-Orsi-Gagliardi... Ho commesso l’omicidio di Diana Liliano nel marzo 1991...». Poi lo arrestarono, e mentre era in cella gli uccisero il fratello Carmine. All’uscita dalla galera, nel ‘95, vide arrivare «un’altra guerra rispetto alla quale rimanemmo indifferenti. Ci siamo occupati delle questioni economiche del clan e dei rapporti con gli imprenditori». L’obiettivo è sempre stato il denaro. Sia da recluso che da latitante: «Durante la mia detenzione mia moglie ha ricevuto uno stipendio mensile di 4-5 milioni di lire... Il pagamento degli stipendi ai “41 bis” variano tra 2.500 e 15.000 euro al mese in relazione alla diversa importanza. Schiavone Francesco e Bidognetti Francesco prendevano 15.000 euro».
Il sistema degli appalti
Nella narrazione di ‘o Ninno le casse del clan si sono riempite soprattutto con estorsioni e appalti. Attraverso un meccanismo nel quale l’infiltrazione negli apparati dell’economia e della pubblica amministrazione diventa collusione: «Si tratta di un sistema che vede coinvolti imprenditori e funzionari pubblici, che consente di controllare l’assegnazione e l’espletamento degli appalti nei diversi comuni controllati dal Clan dei casalesi». Secondo il neo-pentito si realizza una «complicità di interessi che messi tutti insieme fanno il sistema criminale da noi gestito. Non c’è stato bisogno, tante volte, non solo di usare la violenza ma addirittura nemmeno di parlare in maniera specifica di certi fatti, perché in quell’ambiente tutti sapevano che le cose dovevano andare in un certo modo da noi gestito». E così, l’imprenditore che ha appena aperto un cantiere va da Iovine per chiedere protezione, ottenendo un «pacchetto completo» dietro il corrispettivo del 5 per cento su ogni appalto futuro. E un altro che protesta perché aveva avuto assicurazioni da un’altra famiglia di camorra tagliato fuori da una gara manda a trattare con Iovine che garantisce un risarcimento all’escluso per evitare ritorsioni. In generale, svela il capoclan incline al dialogo, come fosse il Provenzano della camorra casalese, «gli accordi con gli imprenditori avvenivano prima di appaltare i lavori, così si evitava di dover intervenire attraverso il blocco dei cantieri che costituiva un metodo violento che portava dei rischi in termini di possibile intervento delle forze di polizia». Più nel dettaglio «i sistemi di assegnazione erano di regola alterati dall’intervento dei pubblici funzionari, e si operava attraverso l’alterazione delle offerte... L’imprenditore che prendeva un lavoro automaticamente si presentava per il pagamento a chi controllava quel territorio, lui stesso chiedeva di mettersi a posto nel rispetto di una situazione ambientale che garantiva gli interessi di tutti; funzionari, imprenditori e camorristi».
La politica senza colore
Quando si inoltra nei diversi affari realizzati, ’o Ninno spiega che il rapporto con la politica è indispensabile, senza troppe distinzioni tra i partiti: «Io ero del tutto indifferente a chi si candidava a sindaco, nel senso che chiunque avesse vinto automaticamente sarebbe entrato a far parte di questo sistema da noi gestito... Non aveva alcuna differenza il colore politico, perché il sistema era ed è operante allo stesso modo», anche se, «mi sono sempre chiesto» perché «in alcuni casi più evidenti le autorità non abbiano reagito denunciando quello che accadeva». Cita l’appalto per la refezione scolastica nell’Agro Aversano assegnato nel 1989 alla ditta Anav: «Era noto a tutti che quella era un’impresa di Antonio Iovine, eppure nessuno si è mai opposto a questo sistema; per esempio a San Cipriano, una personalità come Lorenzo Diana, che pure ha svolto una azione politica dura di contrasto alla criminalità organizzata facendo parte anche della commissione antimafia, ha permesso che noi continuassimo ad avere questi appalti anche quando erano sindaci Lorenzo Cristiano e Reccia Angelo, della sua parte politica». Sul versante politico opposto, Iovine parla degli appalti aggiudicati a ditte vicine ai clan per il rimboschimento nei comuni dell’Alto Casertano: «Se non sbaglio questi finanziamenti si riferiscono a un periodo in cui il ministro dell’Agricoltura era Alemanno e ricordo che il ministro venne a San Cipriano per una manifestazione elettorale su invito di mio nipote Giacomo Caterino».
Tratto da: Il Corriere della Sera del 29 maggio 2014
Il boss pentito Iovine racconta: "Sindaci e parlamentari sono nel Sistema"
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