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di Elena Ciccarello - 23 maggio 2012
“Che il decreto del giudice arrivi oggi, 23 maggio, anniversario della strage di Capaci, è un caso. Ma ha per me un forte valore simbolico”. Così il pm Roberto Sparagna commenta la chiusura delle indagini sulla maxioperazione Minotauro – condotta con i colleghi Abbatecola, Di Balme, Castellani e Tibone - che lo scorso giugno ha smantellato i clan calabresi di stanza a Torino, rivelandone anche i rapporti con la politica locale.
Dei 172 indagati per reati che vanno dall’associazione mafiosa, al traffico di stupefacenti, estorsioni, favoreggiamento dei latitanti, truffe, usura, gioco d’azzardo, infiltrazione nell’economia e riciclaggio, ben 75 sono stati rinviati a giudizio, 20 hanno ottenuto il patteggiamento e 74 hanno il rito abbreviato. Come conseguenza dei patteggiamenti sono stati confiscati immobili ed aziende per diversi milioni di euro. Il processo si aprirà il 18 ottobre, mentre nei prossimi giorni verranno discusse le posizioni di quelli che hanno scelto l’abbreviato.
Tra i rinvii a giudizio spicca quello di Nevio Coral, ex sindaco di Leinì (To) e suocero dell’ex assessore alla sanità della giunta regionale di Roberto Cota, Caterina Ferrero. L’accusa per Coral è di concorso esterno. La sua influenza sulla politica del comune di Leinì, prolungata anche negli anni in cui il mandato è passato al figlio Ivano, e i suoi rapporti con uomini delle cosche sono stati alla base dello scioglimento del comune per mafia, disposto lo scorso 23 marzo dal Consiglio dei ministri.
Rinviati a giudizio anche il segretario generale del Comune di Rivarolo Antonino Battaglia, e l’imprenditore Giovanni Macrì, accusati di voto di scambio in merito alla campagna elettorale del sindaco di Rivarolo, Fabrizio Bertot (Pdl) per le europee del 2009. Proprio ieri anche il comune di Rivarolo è stato commissariato per infiltrazioni mafiose.
Nome eccellente tra i rinviati a giudizio quello di Salvatore De Masi, che nessuna indagine ma tanti imbarazzi ha creato al centrosinistra piemontese. A De Masi, indicato dagli inquirenti come “padrino” del clan di Rivoli, imprenditore edile e cognato di Giuseppe Giorgi, uno dei 30 latitanti del “Programma speciale di ricerca” del ministero dell’Interno, si è infatti rivolto Domenico Lucà, parlamentare del Pd, perché sostenesse Piero Fassino durante le primarie del 2011. E a incontrare De Masi, ripresi dalle microspie, sono stati anche il consigliere regionale del Pd Antonio Boeti, l’assessore del Comune di Alpignano Carmelo Tromby (Idv), e l’onorevole Gaetano Porcino (Idv).
 A dibattimento va anche Bruno Trunfio, accusato di associazione mafiosa. Bruno, figlio di Pasquale Trunfio, indicato dagli inquirenti come capo del locale di Chivasso (To), è l’ex vicesegretario comunale dell’Udc e coordinatore della campagna elettorale del sindaco di centrosinistra Gianni De Mori. Dopo il suo arresto, nel giugno 2011, il partito lo ha sospeso e il sindaco si è dimesso. Ma il suo ruolo, insieme a quello del padre, pesa ancora oggi come un macigno sugli atti amministrativi del palazzo comunale, che infatti una commissione prefettizia sta passando a setaccio.
Abbreviato invece per Giovanni Iaria, inprenditore con un passato nel Psi provinciale e figura storica dell’edilizia del canavese. A giudizio per 416 bis va invece Ilario D’Agostino, impenditore già indagato nell’operazione Pioneer con l’accusa di aver riciclato milioni di narcoeuro della cosca Spagnolo nei cantieri delle Olimpiadi 2006, della Tav e del porto di Imperia.
Rispetto ad altri maxiprocessi di ‘ndrangheta recentemente celebrati, quello piemontese si distingue per l’alto numero dei rinvii a giudizio. A  Milano e a Reggio Calabria più dell’ottanta per cento degli imputati ha ottenuto il rito abbreviato, a Torino quasi la metà andrà in dibattimento. Dove molti avvocati cercheranno di screditare il valore delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Rocco Varacalli, le cui dichiarazioni nel 2006 hanno dato impulso all’inchiesta.
Varacalli, infatti, è stato infatti nuovamente indagato si trova agli arresti domiciliari. “L’attendibilità dei collaboratori deriva dal riscontro delle loro dichiarazioni – spiegano però in Procura –, che Varacalli sia uscito dal programma di protezione non sposta di un centimetro il valore delle sue rivelazioni, che supportate dalle intercettazioni e dai riscontri restano perfettamente valide e attendibili”.

Tratto da:
ilfattoquotidiano.it

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