15 ottobre 2011
Reggio Calabria. La cosca Pesce, nel giugno del 2006, voleva uccidere la pentita Rosa Ferraro, che da pochi giorni aveva iniziato a collaborare con la magistratura. A riferirlo, davanti ai giudici del Tribunale di Palmi nel processo ai presunti affiliati al clan Pesce di Rosarno, è stato un ispettore della polizia penitenziaria sulla base di colloqui intercettati in carcere tra Salvatore Pesce, ritenuto il boss della cosca, ed il figlio Francesco, all'epoca libero. Rosa Ferraro è la cugina di Giuseppina Pesce, figlia di Salvatore, anche lei collaboratrice di giustizia. L'ispettore ha riferito che nel corso dei colloqui, intercettati il 13 giugno del 2006, appena otto giorni dopo l'inizio della collaborazione di Rosa Ferraro, Francesco Pesce disse al padre che la donna andava uccisa, facendola investire da un'auto e simulando un incidente stradale. Il boss, però, fece presente al figlio che della questione dovevano occuparsene i Ferraro aggiungendo, ha riferito l'ispettore, che se non l'avessero fatto, allora ci avrebbero pensato i Pesce. Dopo quel colloquio, la polizia penitenziaria informò immediatamente il Servizio centrale di protezione che provvide a mettere in salvo Rosa Ferraro, portandola via da Rosarno. Nella seconda parte della deposizione, è stata invece affrontata la vicenda di un agente della polizia penitenziaria in servizio nel carcere di Palmi, Eligio Auddino, che secondo l'accusa avrebbe agevolato lo scambio di messaggi fra il boss Salvatore Pesce ed i familiari e di aver favorito l'introduzione nel carcere di Palmi di beni e oggetti non consentiti dal regolamento. Auddino è stato condannato nel settembre scorso a tre anni e quattro mesi di reclusione per corruzione dal gup di Reggio Calabria nel processo con rito abbreviato ad altri presunti affiliati al clan Pesce.
ANSA