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"La mia opinione è che ci siano zero possibilità che Matteo Messina Denaro stia collaborando o inizi a collaborare con la giustizia, perché non ha convenienza, lui deve difendere il suo patrimonio e pensare alla sua salute, il suo problema principale. Che interesse ha, dunque, ad avviare una collaborazione, che significa anche disvelare tutti i beni posseduti? Perché la prima cosa che viene chiesta è questa". Così all'AdnKronos l'avvocato Luigi Li Gotti, storico difensore dei pentiti di Cosa nostra del calibro di Tommaso Buscetta, Gaspare Mutolo e Giovanni Brusca, dopo la trasferta nel carcere dell'Aquila del procuratore Capo di Palermo, Maurizio de Lucia, e del procuratore aggiunto Paolo Guido, per interrogare il capo mafia stragista Matteo Messina Denaro. Per lo storico legale dei pentiti, inoltre, la grave malattia di cui il boss soffre è un incentivo a non collaborare. "Messina Denaro è già stato condannato definitivamente a più ergastoli - osserva Li Gotti -, dunque, qualora collaborasse, per poter accedere a chiedere dei benefici alternativi ci vogliono dieci anni dal momento in cui viene arrestato. Prima di dieci anni, anche se collabora, non può nemmeno chiedere i benefici. Un collaboratore di giustizia, infatti, prima di poter accedere ai benefici deve superare una certa soglia di espiazione di condanna, non è che inizia a collaborare e il giorno dopo accede ai benefici, no, la legge impone dei tetti". "Ciò significa - chiosa l'avvocato Li Gotti - che la malattia è uno stimolo a non collaborare, perché se è vero, com'è vero, che per ottenere benefici devono trascorrere dieci anni, uno che ha una malattia grave, almeno così hanno detto, non ci arriva a vivere altri dieci anni. Dunque, che benefici avrebbe Messina Denaro? Zero, e zero, a mio parere, sono le possibilità che collabori. Poi tutto può essere, però francamente…".

Foto © Imagoeconomica

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