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Nessun differimento della pena, nemmeno nelle "forme della detenzione domiciliare". Il tribunale di sorveglianza di Bologna ha rigettato la richiesta di scarcerazione di Salvatore Parla, 72 anni, di Canicattì, condannato all'ergastolo per l'omicidio del giudice Rosario Livatino, proclamato beato dal Vaticano appena tre settimane fa. Il difensore, l'avvocato Angela Porcello, chiedeva di sospendere l'esecuzione della pena, per le precarie condizioni di salute del settantenne che, peraltro, avrebbe pure più volte tentato il suicidio. "Le sue condizioni di salute - secondo il legale che aveva elencato tutte le patologie di cui l'anziano ergastolano, detenuto nel carcere di Parma, soffrirebbe - fanno palesemente apparire l'espiazione della pena in contrasto con il senso di umanità, cui si ispira la Costituzione e in violazione dei tre principi costituzionali di uguaglianza, di senso di umanità e di diritto alla salute". I giudici hanno acquisito l'intera documentazione clinica e, dopo alcune settimane, hanno sciolto la riserva rigettando la richiesta. "Le condizioni di salute del condannato - scrivono i giudici - sono sottoposte a continuo monitoraggio e, in caso di esigenza, può essere disposto il ricovero ospedaliero. Non sussiste una condizione di assoluta incompatibilità". La Direzione distrettuale antimafia si era opposta al differimento della pena, ovvero la scarcerazione, seppure provvisoria, e alla detenzione domiciliare, sottolineando il ruolo di Parla "di primaria importanza nell'organizzazione mafiosa, come dimostrato dalla sua diretta partecipazione all'omicidio del giudice Rosario Livatino".

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