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Sono state depositate le motivazioni della sentenza con cui la Corte d'appello di Palermo, presieduta da Aldo De Negri, ha confermato il dissequestro del patrimonio degli imprenditori Niceta, respingendo il ricorso della Procura.
Come riportato da livesicilia.it, il collegio ha condiviso quelle che erano già state le considerazioni del Tribunale: “Se, in altri termini, si è registrata una contiguità con ambienti mafiosi ed una cultura imprenditoriale che non ha disdegnato la ricerca di ‘corsie privilegiate’ offerte da quegli stessi ambienti mafiosi (peraltro solo per aspetti marginali, come la scelta di punti vendita delle dimensioni e della collocazione preferite), la mancata dimostrazione di uno specifico contributo in favore delle attività del sodalizio degrada il quadro complessivo a quello di un interessante (ma allo stato non sviluppato e non riscontrato dall’effettivo rinvenimento del ritorno economico in favore del sodalizio mafioso) spunto investigativo, o ad un contesto connotato dal rischio di assoggettamento mafioso (allo stato delle acquisizioni, però, non verificatosi o non scoperto), scenari questi che non possono supportare un giudizio di pericolosità per appartenenza mafiosa”.
Nello specifico, in secondo grado, viene “esclusa la configurabilità di una partecipazione occulta dei Guttadauro agli affari dei fratelli Niceta”, e “deve aggiungersi che le condotte dei proposti sopra evidenziate non risultano mai aver assunto i connotati di un’intermediazione tra gli esponenti mafiosi di riferimento - e in particolare i Guttadauro e, più in generale, i vertici del mandamento mafioso di Brancaccio - e altri imprenditori, potendosi dunque escludere, allo stato degli atti, che essi avessero assunto una funzione di cerniera tra il sodalizio criminoso e il mondo imprenditoriale siciliano. Parimenti, non risulta che le condotte dei Niceta siano qualificabili come perpetrate in violazione dei principi della libera concorrenza e della lecita attività d’impresa, né, tanto meno, che siano state finalizzate alla raccolta di denaro proveniente dall’attività estorsiva".
Seppur viene riconosciuto che rispetto al passato del padre Mario, oggi deceduto, ci sono delle gravi ombre, per la Corte non c'è la prova che la ricchezza da lui accumulata illecitamente sia servita ai figli, Massimo, Piero e Olimpia Niceta, per gli investimenti nei negozi di abbigliamento e nel settore immobiliare.
Dopo i sequestri di beni del 2013 durante l'amministrazione giudiziaria tutti i punti vendita furono chiusi e le società dichiarate fallite.

Foto © Imagoeconomica

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