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di AMDuemila
Il processo d’Appello, davanti alla quarta sezione penale della Corte d’Appello di Palermo presieduta dal giudice Giacomo Montalbano, nei confronti del boss Leo Sutera, 70 anni di Sambuca di Sicilia, considerato uno dei “fedelissimi” di Matteo Messina Denaro, e dei suoi tre fiancheggiatori si terrà il prossimo 18 giugno.
Nel processo di primo grado furono condannati tutti e quattro gli imputati: Leo Sutera, alias “u prufissuri”, alla pena di diciotto anni; tre anni di reclusione, invece, per la fioraia di Sambuca di Sicilia Maria Salvato, 45 anni, l’autista di Sutera, Vito Vaccaro, 57 anni, e l’imprenditore Giuseppe Tabone. L’accusa di cui rispondeva Sutera era di associazione per delinquere di tipo mafioso. Il boss è stato al centro di un’indagine iniziata nel 2015 «che ha consentito di ricostruire gli interessi criminali di Sutera e le responsabilità dei suoi sodali. Sutera avrebbe impartito direttive attraverso la costante partecipazione a riunioni ed incontri con gli altri associati e presieduto a tutte le relative attività ed affari illeciti, curando la gestione delle interferenze nella realizzazione delle opere oggetto di appalti ed opere pubbliche, nonché assicurando il collegando con altre articolazioni territoriali di Cosa nostra. Secondo la ricostruzione dell’accusa Sutera avrebbe potuto contare sull’apporto di Giuseppe Tabone, Maria Salvato e Vito Vaccaro “particolarmente attivi nell’aiutare il capomafia aiutandolo ad eludere le indagini, salvaguardandone gli spostamenti e la comunicazione”. Mentre Tabone e Salvato lo avrebbero tenuto costantemente informato dell’esistenza di telecamere e di possibili attività investigative nei suoi confronti. Sempre secondo la ricostruzione dell’accusa Vaccaro avrebbe anche messo a sua disposizione mezzi e risorse, tra cui un immobile da destinare ad incontri riservati.

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