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Già negli anni ‘80 cosa nostra faceva affari con gli americani, quando ogni famiglia aveva una propria raffineria con tanto di chimici che si occupavano di trasformare la morfina in eroina. In seguito, è intervenuto l’investimento nel cemento (il sacco di Palermo è l’esempio principe del legame tra la mafia e l’edilizia attraverso la politica).
Oggi il mercato dell’edilizia è al palo; non ci sono più cantieri e gli appalti pubblici, su cui le famiglie prendevano una percentuale, sono difficilmente indirizzabili a società di comodo, anche grazie ai nuovi strumenti legislativi che, in via preventiva, agiscono limitando la capacità d’azione dei nuovi boss. Mi riferisco al decreto legislativo n. 159 del 2011 che costituisce uno dei principali strumenti di contrasto al coinvolgimento di organizzazioni criminali nell’ambito dei rapporti economici tra Pubblica Amministrazione e privati: l’interdittiva antimafia implica come un imprenditore - pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione - non meriti la fiducia delle Istituzioni.
Le estorsioni sono diventate più complesse da gestire perché i commercianti, grazie ad una crescente fiducia e alla pervicace azione delle associazioni antiracket, denunciano sempre più gli esattori del pizzo.
Le attività commerciali e gli investimenti illeciti sono spesso sequestrati e poi confiscati dallo Stato; ritornano, pertanto, in possesso della comunità.
Gli stupefacenti, quindi, sono rimasti il privilegiato business con cui si possa portare profitto alle casse, sempre più deficitarie, di cosa nostra che è, così, tornata ad investire su questa importante fonte di guadagno, triplicando gli investimenti.
I risultati, sino ad oggi raggiunti, sono lusinghieri. Tanto è stato fatto. L'operazione Cupola 2.0 con cui è stata smantellata la nuova commissione provinciale di cosa nostra costituisce un ingente patrimonio informativo di grande valore, nonché una svolta per ulteriori grandi successi verso la struttura dell’organizzazione mafiosa che mantiene purtroppo una sua forza e rilevanza a prescindere dai capi-boss di turno in ragione del ruolo di rigenerazione dei fine pena, dei giovani rampolli e del massiccio ritorno alla droga... Ma lo straordinario lavoro di contrasto coordinato dall'AG e di prevenzione sul tavolo della Prefettura potrà far ottenere allo Stato Democratico risultati sempre più brillanti.
Ne deriva che il vero cambiamento culturale, a mio parere, vada innanzitutto ricercato nel comportamento dei tanti che, indipendentemente dal fenomeno associativo, hanno sentito, capito e compreso che si può e si deve avere fiducia nelle Istituzioni.
E’ pertanto necessario che tutti gli attori pubblici, insieme ai cittadini, continuino ad operare quotidianamente e sinergicamente per garantire alla Comunità intera una convivenza improntata alla legalità.

In foto: il colonnello Antonio Di Stasio

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