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L'iniziativa dell'associazione Quarto Savona 15 e di Tina Montinaro appoggiata da Libera. Oggi il ricordo del procuratore Scaglione
di Stefania Moretti
L’auto della scorta di Falcone sarà a Palermo il 23 maggio, per il venticinquesimo anniversario della strage di Capaci. Lo ha voluto Tina Montinaro, la vedova di Antonio Montinaro, promotrice dell’iniziativa “La memoria in marcia”. La Quarto Savona 15, la croma blindata su cui viaggiavano gli agenti della scorta di Falcone, è partita il primo maggio da Peschiera del Garda, per poi fare tappa a Napoli, Vibo Valentia e Locri.

Su quell’auto, il 23 maggio 1992, erano saliti Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo, per accompagnare il magistrato Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo.

“Libera Sicilia è con Tina Montinaro e con l’associazione Quarto Savona 15”, affermano Gregorio Porcaro e Flora Agostino, coordinatore regionale e referente regionale della memoria di Libera Sicilia. “Ci stringiamo intorno a lei per testimoniare l’importanza di una memoria viva, fonte di ispirazione per un impegni che deve far sentire attivi tuti i cittadini”.

Oggi il ricordo del procuratore Scaglione. Parlava di mafia come di “febbre della terra”. Cosa Nostra non glielo perdonò: Pietro Scaglione, il pm di Portella della Ginestra, moriva il 5 maggio 1971, bloccato in via Cipressi da un commando di killer che uccisero lui e il suo autista Antonio Lorusso. Fu il primo giudice eliminato da Cosa Nostra insieme alla sua scorta. Oggi il tribunale di Palermo ha ricordato quel sacrificio nel convegno “L’assetto ordinamentale del pubblico ministero tra poteri e responsabilità” all’aula magna del palazzo di giustizia. Scaglione era intransigente e indipendente. Lo dimostrò fin dal suo esordio in magistratura nel ’28: non cedette mai al regime fascista. Una carriera spesa per l’autonomia dei magistrati e l’impegno per la verità.

Fu Scaglione a sostenere l’accusa al processo per la strage di Portella della Ginestra, a opera della banda di Salvatore Giuliano. L’anatomia dell’eccidio nella sua requisitoria, chirurgica nell’individuare i moventi: dalla difesa del latifondo e dei latifondisti all’odio di Giuliano per il comunismo, fino all’usurpazione dei poteri di polizia devoluti allo Stato e alla punizione dei contadini.

Inflessibile sugli omicidi dei sindacalisti: chiese l’ergastolo per gli imputati del delitto Placido Rizzotto e il rinvio a giudizio degli accusati dell’assassinio di Salvatore Carnevale. Ma soprattutto fu tra i primi a capire che “la mafia aveva origini politiche e che i mafiosi di maggior rilievo bisognava snidarli nelle pubbliche amministrazioni”, scriveva nel ‘71 il giornalista Mario Francese, anche lui vittima della mafia. Il destino di Scaglione era segnato, come quello di tutti gli investigatori che intuirono qualcosa; Paolo Borsellino parlò in proposito di “campagna di eliminazione sistematica”.

Scaglione fu presidente del Consiglio di patronato per l’assistenza alle famiglie dei detenuti e ai soggetti liberati dal carcere. Il ministero della Giustizia gli conferì il diploma di primo grado al merito della redenzione sociale per le attività che il procuratore promosse, tra cui la costruzione di un asilo nido. Nel ’91 è stato riconosciuto “caduto vittima del dovere e della mafia”, come anche il suo autista Antonio Lorusso.


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