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di Raimondo Moncada
Presentato a Menfi il libro Il primo martire di mafia. L’eredità di Padre Pino Puglisi, di Salvo Ognibene e Rosaria Cascio. Il Procuratore Luigi Patronaggio: “Il “movente alto” dell’omicidio di don Puglisi, in particolare, è legato all’anatema di Karol Wojtyla nella Valle dei Templi”.

Sono due i martiri della svolta della Chiesa contro la mafia: il giudice Rosario Livatino, testimone di fede, e don Pino Puglisi, sacerdote di Brancaccio. Il “movente alto” dell’omicidio di don Puglisi, in particolare, è legato all’anatema di Karol Wojtyla nella Valle dei Templi di Agrigento quando il 9 maggio 1993 tuonò contro la mafia definendola “una civiltà della morte”.

Sono parole del procuratore capo della Repubblica di Agrigento Luigi Patronaggio, il magistrato che a Palermo coordinò le indagini sul delitto di Don Puglisi, avvenuto a Brancaccio il 15 settembre 1993, raccolse le dichiarazioni di pentimento del killer, e sostenne l’accusa al processo.

Luigi Patronaggio ha raccontato di quella pagina della sua vita (“una grande esperienza umana, professionale e di crescita”) sabato sera al centro civico di  Menfi, nel corso della presentazione del libro Il primo martire di mafia. L’eredità di Padre Pino Puglisi. Un saggio dell’avvocato-scrittore Salvo Ognibene e dell’insegnante Rosaria Cascio (Edizione Dehoniane di Bologna).

“Abbiamo messo assieme – ha detto Salvo Ognibene – due diversi punti di vista, con in comune: l’amore per la bellezza e la verità. E non abbiamo avuto paura a raccontare quello che in altri libri non è stato raccontato. La casa editrice cattolica ci ha dato una grande spinta”.

Don Puglisi è stato la guida spirituale di Rosaria Cascio, ora docente in una scuola superiore di Palermo. Una esperienza lunga quindici anni che l’ha segnata: “Per me è stato un padre, una madre, un fratello, una sorella: è stato tutto. Non è morto invano. I suoi valori vivono in me”. Una delle cose che le ha insegnato è quella di “non dare risposte, ma di sollecitare domande” ai giovani. E poi “di alzarmi la mattina e chiedermi: cosa posso fare oggi per gli altri e quale senso dare alla giornata?”

“È stato subito chiaro che è stato un martirio. Di solito quando si uccide un prete parte la controinformazione. Con Padre Puglisi no. Le persone piangevano il loro maestro”. Così Luigi Patronaggio ricorda i primi giorni dal delitto.

Il “movente alto” dell’omicidio, ha poi spiegato, è legato alla svolta stragista di Cosa Nostra contro lo Stato e contro il cambiamento della Chiesa. Il “movente basso” è invece riconducibile all’attività nel territorio di Padre Puglisi, alla sua azione pastorale, al suo “catechismo della testimonianza”, al suo impegno civile a favore del quartiere Brancaccio, alla sua semplicità, al suo seminare speranza nel cuore dei giovani raccogliendoli dalla strada, al suo essere contro ogni antica regola, contro il giogo mafioso. Il suo delitto – ha evidenziato il magistrato – è stato determinato anche da un isolamento delle istituzioni che lo ha consegnato idealmente agli assassini.

“La sua – ha concluso Luigi Patronaggio – è stata un’eredità sprecata. Ma ora stiamo recuperando, con la Chiesa della svolta di papa Francecso.

Presenze illustri, in una sala stracolma di persone e per un evento organizzato dall’Istituzione Culturale “Federico II” insieme alla Consulta Giovanile. È intervenuto il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, in un momento di profonda riflessione coordinato dalla professoressa Alice Titone e aperto dal saluto del sindaco Vincenzo Lotà.

Con il suo morbido carisma, Don Franco ha illuminato il cuore e le menti degli attenti spettatori venuti anche da fuori Menfi. Ha parlato di una Chiesa che è sempre un “cantiere”, in continuo cambiamento, dell’attualità del messaggio evangelico, della paura dei fedeli a lasciare vecchi schemi per il nuovo, dei mafiosi che vivono una fede falsa, esteriore (solo “luccichìo”), dei religiosi che vivono pienamente la Parola e la testimoniano concretamente con le azioni andando controcorrente.

“Don Pino Puglisi – ha detto il cardinale Montenegro – è stato un uomo che ha creduto, un sacerdote innamorato del Vangelo. Ha vissuto con semplicità francescana, vivendo e facendo vivere una fede viva, mai cercando di meravigliare e stupire. Si è presentato come testimone e non come maestro, in un momento di passaggio della Chiesa. La sua semplicità, la sua azione hanno dato fastidio. È andato controcorrente, come Gesù. Ha scritto una pagina di storia”.

Ancora Don Franco: “L’impegno di Padre Puglisi è stato quello di non fare donne e uomini pii, con le mani giunte. Ma quello di far crescere donne e uomini veri. Ha avuto la grande capacità di guardare il cielo con le scarpe sporche.  E questa è la garanzia che siamo in presenza di un uomo e di un prete vero”.

“L’ultimo suo colpo di cesello”, ha concluso il cardinale Montenegro, è stato il pentimento di chi lo ha ucciso: “Il Vangelo chiede il cambiamento del cuore”.

Nelle foto alcuni momenti dell’incontro

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