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cuffaro finecarcere ansaLa condanna definitiva era a sette anni ma ne ha scontati quattro anni e undici mesi. Ora che ha chiuso i conti con la giustizia, grazie all’indulto di un anno e lo sconto di 45 giorni ogni sei mesi per buona condotta, Salvatore Cuffaro torna un uomo libero. La sua scarcerazione è prevista per oggi. Resta un’incognita il suo futuro, anche se l’ex presidente della Regione non può assumere incarichi pubblici. Glielo impedisce l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. In una lettera al governatore Rosario Crocetta, Cuffaro ha manifestato il suo desiderio di partire presto per il Burundi, probabilmente a fine marzo. «Andrò a fare il medico volontario — ha scritto Cuffaro, che è radiologo — all’ospedale Cimbaye Sicilia, che, quand’ero presidente, la Regione siciliana ha finanziato con i soldi del Fondo della solidarietà».
In cella Cuffaro ha studiato Giurisprudenza (ha sostenuto tutti gli esami, deve solo discutere la tesi) e ha anche scritto due libri: “Il candore delle cornacchie” e “Le carezze della nenia”. Libri che contengono riflessioni maturate in un ambiente dove «si muore e si risorge ogni giorno ». Oggi per lui si apriranno le porte del carcere di Rebibbia. Ad accoglierlo uno dei suoi legali, Marcello Montalbano, e alcuni familiari con i quali partirà per Raffadali, il suo paese d’origine, dove vive l’anziana madre e dove il fratello Silvio è sindaco.
La storia giudiziaria che ha portato alla condanna di Cuffaro cominciò il 5 novembre 2003 con la scoperta di “talpe” negli uffici della procura. Il governatore venne individuato, attraverso intercettazioni, come il principale terminale delle fughe di notizie su indagini riservate. Sarebbe stato lui ad avvertire il boss Giuseppe Guttadauro che gli investigatori avevano piazzato una microspia a casa sua. Cuffaro lo aveva appreso a sua volta dal maresciallo Antonio Borzacchelli, poi eletto all’Ars in una lista collegata all’Udc.
Il primo processo si concluse il 18 gennaio 2008 con la condanna dell’allora governatore a cinque anni. Confermate tutte le imputazioni, ma cadde l’aggravante del favoreggiamento della mafia. Cuffaro annunciò che non si sarebbe dimesso, ma le polemiche subito esplose per l’immagine che lo riprese con un vassoio di cannoli lo portarono a gettare la spugna. In appello la posizione di Cuffaro si appesantì con l’aggravante del favoreggiamento di Cosa nostra e portò a una condanna a sette anni. L’ultimo atto in Cassazione il 22 gennaio 2011: condanna confermata. Prima di varcare il portone del carcere, Cuffaro disse ai cronisti: «Sono un uomo delle istituzioni e ho rispetto della magistratura. Affronterò la pena com’è giusto che sia».

La Repubblica del 13 dicembre 2015

Foto © Ansa

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