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11 luglio 2012
Palermo. "Beni per un valore di 210 milioni di euro sono stati sequestrati dalla Guardia di Finanza di Palermo, in esecuzione di un provvedimento emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale del capoluogo siciliano, in accoglimento della proposta avanzata dalla Procura della Repubblica – Sezione Misure di Prevenzione". Lo comunica la Guardia di Finanza.
"Il sequestro di beni è la risultante di una complessa ed articolatissima attività di indagine svolta dal Gruppo Investigazione sulla Criminalità Organizzata - GICO - del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Palermo su delega e sotto la costante direzione della locale Procura della Repubblica, concernente presunte infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore della grande distribuzione alimentare. Interessato dal provvedimento è un imprenditore palermitano di 59 anni, già indagato, tra il 2008 ed il 2009, per associazione mafiosa e impiego di denaro di provenienza illecita (aggravato dal favoreggiamento mafioso) e condannato nel 2007 per favoreggiamento, anche per le sue molteplici e radicate relazioni con l’organizzazione mafiosa (in particolare, con le famiglie della “Noce”, di Torretta e di Carini), emerse dalle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia e da alcuni “pizzini” sequestrati al boss Lo Piccolo Salvatore, il cui contenuto è stato poi riscontrato attraverso le intercettazioni telefoniche ed ambientali svolte dai finanzieri. A carico dell’imprenditore, vi sono le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Calogero GANCI, il quale lo ha definito come persona “vicina” alla famiglia mafiosa del quartiere palermitano della Noce, avendo posto a disposizione di questa le proprie attività imprenditoriali, nel 1995, per il reimpiego di oltre 300 milioni delle vecchie lire di provenienza illecita. Di analogo tenore le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Giuseppe Briguglio, per il quale l’imprenditore, che aveva intessuto rapporti di natura illecita con soggetti del mandamento di Pagliarelli, nel periodo di transazione dalla lira all’euro aveva consegnato a esponenti di spicco di Cosa Nostra, per il “cambio”, ben 500 milioni di dubbia provenienza. L’interessamento della famiglia mafiosa di Carini per le attività economiche dell’imprenditore è emerso, invece, dal contenuto di alcuni pizzini rinvenuti in possesso di Salvatore Lo Piccolo all’atto della sua cattura. In uno dei messaggi, vi era infatti il chiaro riferimento all’acquisizione da parte dell’imprenditore di alcuni immobili ed alla corresponsione a “Cosa Nostra” di 200 mila euro a titolo di mediazione. Dalle investigazioni è complessivamente emerso che l’imprenditore ha cercato ed ottenuto la protezione mafiosa per acquisire nuove posizioni di mercato, pagando l’organizzazione criminale per il servizio fornitogli. Le complementari indagini patrimoniali svolte dalle Fiamme Gialle del G.I.C.O., corroborate successivamente da una consulenza contabile disposta dalla Procura della Repubblica, hanno evidenziato poi che l’originaria società con la quale l’imprenditore, nei primi anni 90, ha iniziato la sua attività presentava valori di bilancio irrisori o addirittura negativi. Del successivo autofinanziamento (per ben 7 miliardi delle vecchie lire tra il 1995 ed il 2000) non è stata riscontrata alcuna provenienza dalla contabilità societaria e tali notevolissime risorse sono risultate assolutamente sproporzionate ed incoerenti rispetto ai redditi dichiarati dall’imprenditore e dai componenti il suo nucleo familiare. I beni di cui il Tribunale di Palermo, Sezione Misure di Prevenzione, ha disposto il sequestro, del valore stimato in 210 milioni di euro, consistono in 6 società operanti nel settore della grande distribuzione di detersivi e prodotti per la casa ubicate in Palermo e Carini, 6 terreni in Palermo e Partinico, 36 fabbricati di diversa tipologia ubicati in Palermo, Partinico, Trappeto e San Vito Lo Capo, due autovetture di grossa cilindrata, modello Mercedes e Audi e disponibilità finanziarie per circa 7 milioni di euro".

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