Riportiamo di seguito l’intervento integrale del dott. Nino Di Matteo all’'iniziativa, organizzata dall'Associazione nazionale magistrati alla vigilia del ventesimo anniversario della strage di Capaci, “Venti anni dopo. Bilancio e prospettive nella lotta alla mafia”.
INTERVENTO DR. NINO DI MATTEO - 22 MAGGIO 2012
Per tutti i Magistrati italiani, e per quelli del Distretto di Palermo in particolare, il ricordo di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Di Cillo non è mai stato, non è oggi, e non potrà mai diventare in futuro, sterile esercizio retorico.
La vita e la morte di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Paolo Borsellino, Rocco Chinnici, Antonino Saetta, Rosario Livatino e degli altri numerosi colleghi uccisi nel territorio di questo distretto giudiziario hanno segnato per sempre il nostro DNA di Magistrati. Ci hanno reso definitivamente consapevoli della delicatezza, della bellezza e nobiltà del nostro lavoro in terra di mafia. Ci hanno gravato di ulteriori responsabilità nel proseguire la loro battaglia per affermare la legalità ed il diritto in un paese sempre più pervaso dalla illegalità diffusa, da un pesante condizionamento della criminalità organizzata, dalla corruzione dilagante, dal diffondersi di un vero e proprio metodo mafioso persino nell’esercizio del potere politico, amministrativo, economico e finanziario.
Per contribuire a cambiare questo grave e pericoloso andazzo siamo consapevoli che dobbiamo ispirarci agli stessi valori ed ideali che i nostri morti hanno saputo testimoniare fino al loro ultimo respiro: l’onestà, il coraggio, la professionalità, l’autonomia ed indipendenza praticate quotidianamente attraverso la lontananza dal potere ed il costante riferimento al fondamentale principio dell’eguaglianza di tutti di fronte alla legge.
Appartengo ad una generazione di Magistrati, siciliani e non, segnata profondamente da un’esperienza indelebile. Negli anni ’80, quando eravamo ancora studenti, in tanti abbiamo coltivato il sogno di superare il concorso guidati da un stella polare: la magnifica esperienza del pool antimafia di Palermo, l’impegno di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, gli anni del primo maxi-processo alla mafia, rappresentavano il sogno del riscatto della dignità di un popolo da sempre oppresso, lo stimolo più forte, il punto di riferimento essenziale del nostro impegno giovanile. Per la prima volta ho indossato la toga da Magistrato in questo Palazzo di Giustizia alla camera ardente per Giovanni Falcone e le altre vittime della strage di Capaci. Altri colleghi, allora come me giovani uditori giudiziari, erano con me quella notte. Ricordo come fosse ieri il subbuglio di sentimenti nei nostri cuori. La sensazione improvvisa di avvertire il peso delle nostre scelte, la rabbia, l’indignazione per ciò che era accaduto; lo sgomento e il disorientamento nel vedere sfilare innanzi alla bara delle vittime, anche chi aveva sempre ostacolato il lavoro di Falcone e degli altri Magistrati del pool.
La memoria di quei momenti è un patrimonio che sentiamo di dover coltivare, nel nostro quotidiano impegno professionale, anche oggi e che continua a vivere ancora nel cuore delle generazioni di giovani Giudici.
Anche per tutto questo, signor Ministro, i Magistrati hanno saputo resistere, e saranno in grado di resistere in futuro, agli attacchi sistematici, scomposti, talora violenti, di certa politica che mostra di non sopportare che il controllo di legalità della magistratura si rivolga anche nei confronti di chi detiene un potere che vorrebbe invece esercitare senza limiti e contrappesi.
Anche in virtù del testamento morale che ci hanno lasciato i nostri morti denunceremo sempre con forza ogni tentativo (magari travestito da riforma costituzionale della giustizia piuttosto che da riforma del sistema di responsabilità civile dei Giudici) di rendere la magistratura sempre più burocratizzata, gerarchizzata al suo interno, pavida, attenta a non disturbare i potenti, così trasformandola di fatto in un ordine servente rispetto a quello politico.
Anche per onorare davvero la memoria dei nostri morti, troveremo sempre la forza ed il coraggio per opporci a qualsiasi tentativo di limitare la nostra indipendenza e quei valori costituzionali che tanti Giudici uccisi hanno saputo incarnare fino al sacrificio della loro vita. Lo faremo non per tutelare gli interessi di una casta ma per difendere i principi di quella Costituzione alla quale abbiamo prestato giuramento di fedeltà e che nella effettività della separazione dei poteri e dell’autonomia della magistratura fonda il caposaldo della garanzia di tutti i cittadini, soprattutto i più deboli.
Il ventennale delle stragi costituisce l’occasione per fermarci a riflettere sul bilancio e le prospettive di una azione di contrasto alla mafia ed al sistema mafioso che dovrebbe essere vissuta come vera e propria lotta collettiva di liberazione, una catarsi etica, morale e sociale prima ancora che giudiziaria e che invece (al di là delle parole, della retorica e della disinvolta ed ingiusta rivendicazione di inesistenti meriti da parte della politica) continua nei fatti ad essere patrimonio di pochi, spesso isolati, Giudici e appartenenti alle forze dell’ordine.
Il bilancio di questi vent’anni è certamente positivo solo per quanto riguarda la repressione dell’ala militare di “cosa nostra”. Risultati importanti sono stati conseguiti in tal senso sul piano del processo penale e dei procedimenti di prevenzione anche con il sequestro e la successiva confisca di ingenti patrimoni. In questa direzione, per proseguire efficacemente il virtuoso cammino già intrapreso, è anzitutto assolutamente necessario mantenere inalterato il quadro normativo sulle intercettazioni telefoniche e ambientali, abbandonando definitivamente progetti di riforma la cui approvazione comporterebbe inevitabilmente un grave arretramento dell’efficacia delle indagini anche in materia di criminalità organizzata.
A vent’anni dalle stragi è giunto il momento di operare finalmente un salto di qualità definitivo che potrà realizzarsi solo con un deciso cambiamento di rotta che indirizzi gli sforzi di tutti, ed in primo luogo quelli del legislatore, per creare finalmente le condizioni per recidere i perversi e perduranti rapporti della mafia con la politica, le istituzioni, l’imprenditoria. Tale sforzo non può non passare dalla consapevolezza che lotta alla mafia e lotta alla corruzione sono due facce della stessa medaglia del contrasto ad un sistema criminale integrato. I reati contro la pubblica amministrazione costituiscono in maniera sempre più evidente il grimaldello attraverso il quale le organizzazioni mafiose riescono a penetrare il tessuto economico e politico del paese. Il relativo sistema sanzionatorio penale risulta oggi del tutto inadeguato anche in considerazione degli effetti disastrosi della normativa in tema di prescrizione del reato. In tale contesto ci sembra non più sopportabile il mancato recepimento delle indicazioni ricavabili dalla convenzione di Strasburgo del 1999 con particolare riguardo alla previsione di apposite sanzioni penali per le condotte di traffico di influenze e corruzione nell’ambito privatistico. Per quel che riguarda ancor più specificamente il rapporto mafia-politica è triste constatare che, anche nei casi di comprovati e consapevoli rapporti tra esponenti politici ed appartenenti alla criminalità organizzata, non sia mai scattato un efficace meccanismo di responsabilità politica che prescinda dalla eventuale, e non sempre ravvisabile, responsabilità penale. Come se il disvalore di certi rapporti fosse limitato ai soli casi in cui sia possibile configurare e provare una precisa ipotesi di reato. Anche gli strumenti normativi di tipo penalistico attualmente in vigore appaiono sempre più spesso inadeguati a colpire i sempre più diffusi fenomeni del patto politico-elettorale-mafioso e del voto di scambio; quest’ultimo oggi necessariamente ancorato (secondo la previsione attuale dell’art. 416 ter del c.p.) alla ipotesi, assai rara nella realtà, in cui l’organizzazione mafiosa pretenda e riceva denaro in cambio del sostegno elettorale che assicura al candidato. Occorrerebbe invece sanzionare penalmente l’accordo consapevole che il candidato stringe con il mafioso promettendogli, in cambio del sostegno elettorale, utilità e favori di qualsivoglia genere (finanziamenti, appalti, concessioni, provvedimenti amministrativi) finalizzati ad assecondare i “desiderata” delle cosche. E ciò a prescindere dalla eventuale effettiva e successiva resa dei favori promessi. E proprio in quest’ottica, maturata dai Magistrati di Palermo sul campo di anni di indagini e di processi in materia, la Giunta che ho l’onore di presiedere e la Fondazione Progetto Legalità intitolata a Paolo Borsellino hanno nei giorni scorsi inoltrato al Presidente del Consiglio dei Ministri, a lei Signor Ministro ed a tutti i parlamentari una proposta di riforma dell’art. 416 ter c.p. che abbiamo denominato “proposta di legge Paolo Borsellino” proprio in funzione del ricordo della più volte manifestata consapevolezza che il Giudice Borsellino aveva della centralità e gravità del rapporto mafia-politica. Anche e soprattutto su questi temi ci aspettiamo segnali concreti che possano dimostrarci che la lotta alla mafia possa finalmente un giorno costituire, nei fatti e non solo nelle parole, una vera priorità della politica nel nostro paese. Ce lo impone il rispetto autentico di Giovanni Falcone e Francesca Morvillo che oggi commemoriamo, ce lo chiede a gran voce l’entusiasmo, l’ideale, la passione civile di tanti cittadini italiani, giovani e meno giovani, che in questi giorni ricordano le vittime delle stragi del 1992, rappresentando oggi, a distanza di venti anni, la testimonianza più bella ed evidente che quelle morti non sono state vane.
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