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30 gennaio 2012
Trapani. «Dalle indagini che condussero all'operazione Perseo (con 99 arresti, il 16 dicembre 2008, fu bloccato il tentativo di riorganizzazione della cupola mafiosa), dai pizzini di Provenzano e dalle intercettazioni è emerso che il capo di Cosa Nostra è ancora Totò Riina». Ad affermarlo è stato il colonnello dei carabinieri Jacopo Mannucci Benincasa, che nel 2008, a Palermo, coordinò l'operazione antimafia «Perseo», ascoltato oggi dal Tribunale di Marsala nel processo al 49enne boss mafioso di Castelvetrano (TP) Matteo Messina Denaro e a 13 suoi presunti favoreggiatori. «Nelle carte dell'inchiesta, poi, si legge che c'era bisogno di quell'autorevolezza che Provenzano ormai non aveva più e questa autorevolezza viene attribuita a Matteo Messina Denaro, - ha aggiunto - non come capo, ma come personaggio in grado di dirimere le questioni». Il processo è scaturito dall'operazione «Golem 2» del 15 marzo 2010. L'ufficiale dei carabinieri ha, inoltre, spiegato che dalle intercettazioni ambientali effettuate in un garage di Palermo utilizzato dal boss Giuseppe Scaduto per incontri riservati è emerso che «gli ambasciatori di Benedetto Capizzi, capo del mandamento di Villagrazia, allora agli arresti domiciliari, e che si proponeva come nuovo capo della cupola mafiosa, riferivano che l'iniziativa di riorganizzare Cosa Nostra era partita da Matteo Messina Denaro, con il quale dicevano di avere contatti diretti». A questo progetto di riorganizzazione, però, ha proseguito il colonnello Mannucci Benincasa, «si opponeva Gaetano Lo Presti, capo del mandamento palermitano di Porta Nuova, dicendo che senza l'autorizzazione dal carcere non si poteva andare da nessuna parte». E far presumere che a comandare è ancora Totò Riina, ha spiegato l'ufficiale dei carabinieri, è anche il «mancato rientro dagli Usa degli scappati, rientro che i Lo Piccolo volevano, ma al quale si opponeva Rotolo».

ANSA

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