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Mercoledì 7 settembre, Juan Salazar, operaio della centrale nucleare di Atucha I, è deceduto dopo un grave incidente. Durante i lavori di manutenzione, la cella in cui si trovava è rimasta collegata all'alta tensione che ha generato un arco elettrico che gli ha provocato molteplici ustioni. Trasferito all'Ospedale Virgen del Carmen de Zárate, è deceduto dopo alcune ore a causa della gravità del quadro clinico. 

Un fatto che potrebbe essere inserito nelle statistiche inevitabili sulla sicurezza nell'industria in generale. Ma per noi, no. Questa morte è avvenuta nel contesto di un progetto che è una truffa al popolo, un progetto inquinante che ha compromesso la salute ed il territorio con danni difficili da quantificare e che espone le generazioni future a dover affrontare gli effetti del materiale radioattivo che si continua ad accumulare senza una possibile soluzione.  

Pertanto nel nostro grido di giustizia c’è anche la pretesa che sia fatta luce sulla morte di Juan Salazar e che l’azienda si assuma la responsabilità.   

Nucleoeléctrica S.A. ha pubblicato, come di consueto, un comunicato per lo più insufficiente, che non apporta alcun dato rilevante. La sua posizione di fronte alla comunità è come uno sguardo dall’alto verso il basso, propria della superbia del potere che ostentano e dell'impunità che li caratterizza. “Non si sono registrate esplosioni né rischi radiologici di alcun tipo. Le cause dello stesso sono ancora sotto indagine”. (1)

Da una parte, sappiamo che non è necessario che ci sia un'esplosione come a Chernobyl, per rilevare che il sistema di monitoraggio delle operazioni delle centrali di Atucha sta cedendo e che tutti ci troviamo di fronte ai rischi di questa imperizia. È una fantasia pensare che un uomo possa morire folgorato ma che l'operatività del reattore stesso sia assicurata. Quando c’è un’avaria nel sistema di gestione di un servizio ausiliare, sta cedendo tutto l’insieme. Dall’altra parte, sicuramente dovremo aspettare un’indagine che si dilungherà senza senso nel tempo, in modo da permettere all’impresa che l’attenzione verso l’accaduto si affievolisca e che sia le corporazioni che la stampa diminuiscano il focus di fronte all'opinione pubblica.  

Come se ciò non bastasse, l'impresa ammette che si sono attivati i sistemi di emergenza: “L'incidente ha causato un cortocircuito ed i sistemi di sicurezza, che rimangono sempre attivi anche durante la condizione di arresto programmato, hanno risposto come previsto, collegando il sistema di emergenza di generatori diesel”. (2) Non abbiamo dettagli di quello che è accaduto ma se alcune unità, come i contenitori di raffreddamento del combustibile esaurito, vengono scollegate dalla rete elettrica, è necessario fornire energia dai generatori di emergenza per evitare un incidente con rischio radioattivo.  

Ben lontano dagli standard di sicurezza che caratterizzano in generale l'industria nucleare nel mondo, nel complesso di Atucha possiamo trovare il caso di Juan Manuel Serralta, deceduto nel 2014 mentre lavorava in una situazione molto simile (3). Ma possiamo avvicinarci nel tempo e ricordare che l'anno scorso, si è verificato un episodio simile in cui un altro operaio ha subito delle gravi ustioni nella centrale di Embalse, gestita dalla stessa impresa. (4) 

L'impresa ha fatto sapere, quasi come un traguardo, che questa volta non c’è stato rischio radiologico. Nel 2017, nella centrale Embalse oltre 500 lavoratori furono esposti a differenti livelli di dosi radioattive: “La maggioranza di loro erano assunti in subappalto che alla fine della vita attiva della centrale persero il loro lavoro ma non la dose radioattiva assimilata. L’ARN (Nuclear Regulatory Authority) rimase in silenzio per circa 7 mesi, segnalando l'evento quando ormai era diventato pubblico”. (5). Nello stesso anno, questa volta ad Atucha, fu avvelenata con materiale radioattivo la bottiglia dalla quale beveva il sindacalista Damián Straschenco. Da allora, l'impresa ha accusato giudizialmente il dipendente, insolitamente, per essersi autoinflitto l'attentato. Speriamo che la giustizia dichiari la verità e che Nucleoeléctrica ci spieghi come è possibile che fuoriesca materiale radioattivo dal recinto di un reattore, verso la bottiglia di Pet nell'ufficio del sindacalista. (6) 

Dal Movimento Antinucleare della Repubblica Argentina (Mara), composta da tutte le comunità colpite dal progetto nucleare in tutto il territorio argentino, è stato reso noto un comunicato di ripudio delle azioni dell'impresa: “… è già da qualche tempo che la lobby nucleare argentina è scivolata verso le più oscure tecniche di propaganda delle peggiori organizzazioni della storia: l'occultamento, l'accusa senza prove, l'insinuazione, cercare di allineare le voci dissenzienti con il nemico, incolpare le vittime degli incidenti ed arrogarsi la verità suprema dalla loro parte”.  

E parafrasando Tolstoi, ci ricorda che: “L'ultima voce che si sentirà dopo un incidente catastrofico in una centrale nucleare, sarà quella di un funzionario dell'atomo che dice che questo è completamente impossibile”. (7) 

In definitiva tutto quello che ci ha detto l'industria nucleare argentina, nei fatti è stato sempre il contrario.  

Semplicemente Basta energia nucleare, prima che sia troppo tardi.

Foto: lavozdetandil.com.ar

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