Pentagono: meno sostegno ai baltici, più armi vendute agli alleati. Bilancio ucraino in rosso: deficit record del 18,4% del PIL e dipendenza totale dall’Occidente
È ormai chiaro il decorso della politica americana per gestire la questione ucraina. L’America non può impegnarsi su più fronti contemporaneamente.
In questi giorni sembra imminente un’operazione militare Usa contro il Venezuela per rovesciare Maduro: sono già state dispiegate oltre otto navi militari statunitensi, un sottomarino a propulsione nucleare e caccia F-35 con operazioni di intelligence quotidiane e voli non autorizzati di aerei spia USA fino a 200 miglia nel territorio venezuelano.
Inoltre l'amministrazione Trump sta cercando di ottenere dal Congresso l'autorizzazione per fornire a Israele un pacchetto di armamenti del valore di 6 miliardi di dollari, che includerà 30 elicotteri d'attacco AH-64 Apache e oltre 3000 veicoli da combattimento della fanteria non specificati.
Sul fronte del Pacifico, sono invece ancora bloccati i 400 milioni di dollari in aiuti militari a Taiwan, forse in un’ottica di creare un contesto favorevole per un accordo commerciale con la Cina, oppure in vista dell’esigenza di puntare su future vendite d’armi a pagamento a Taipei rispetto agli aiuti a fondo perduto.
In ogni caso questa è la strada maestra che sta segnando la militarizzazione del vecchio continente.
"Ora non spendiamo più soldi per la guerra. Ci pagano per tutto quello che inviamo... la guerra è finanziata dalla NATO... Non voglio guadagnare dalla guerra in Ucraina. Ma guadagniamo, perché loro comprano le nostre armi", ha dichiarato recentemente il presidente americano in una conferenza stampa.
"Per Trump va tutto bene. Ha ottenuto i soldi e, alla fine, quando l'Ucraina andrà in pezzi, potrà sostenere di averla presumibilmente sostenuta, ma sono stati gli europei a rovinare tutto", ha proseguito, concludendo che il leader americano non nasconde il fatto che ora sta semplicemente vendendo armi all'Europa, che a sua volta le fornisce a Kiev, il che, secondo il tycoon, non rende gli Stati Uniti parte del conflitto.
Già lo scorso agosto, il ministro della Difesa ucraino Denys Shmyhal aveva annunciato l’avvio di un nuovo strumento di sostegno, l’iniziativa Priority Needs Relief (PURL). Un programma, finanziato attraverso contributi volontari dei paesi NATO, che si pone come obiettivo, quello di garantire consegne rapide di armi a Kiev.
In sostanza Kiev elabora una lista di bisogni militari prioritari che viene condivisa con gli Alleati, i quali finanziano forniture statunitensi attraverso un conto dedicato gestito in ambito NATO. I pacchetti vengono approvati dal Supreme Allied Commander Europe (SACEUR) e coordinati logisticamente dal comando NSATU di Wiesbaden per addestramento e assistenza, mentre i contenuti specifici non sono divulgati per motivi di sicurezza. Il meccanismo, definito tra luglio e agosto 2025, ha iniziato a produrre effetti concreti da metà settembre con l’avvio dei primi pacchetti, ciascuno dal valore indicativo di circa 500 milioni di dollari, contenenti equipaggiamenti e munizioni urgenti. Al 6 settembre avevano aderito 11 paesi con circa 2 miliardi di dollari già raccolti: tra gli impegni noti figurano Paesi Bassi con circa 590 milioni, Germania con 500 milioni, Svezia con circa 275 milioni, Norvegia con circa 135 milioni e Danimarca con circa 90 milioni. 
I primi invii confermati comprendono missili per i sistemi di difesa aerea Patriot e munizionamento per i lanciarazzi HIMARS, in linea con le priorità antiaeree e di fuoco a distanza di Kyiv. L’insieme delle forniture si concentra su difese aeree, munizioni, missili, pezzi di ricambio e altre capacità critiche disponibili dagli stock statunitensi, con tempi di preparazione e consegna accelerati rispetto ai canali tradizionali.
Inoltre secondo quanto riporta Reuters, gli americani lo hanno comunicato agli europei durante un incontro al Pentagono alla fine di agosto.
“Alla fine di agosto, i rappresentanti del Pentagono hanno incontrato un gruppo di diplomatici europei e hanno mandato loro un messaggio duro: gli Stati Uniti intendono interrompere parte del supporto in materia di sicurezza a Lettonia, Lituania, Estonia e a tutti i membri della NATO che confinano con la Russia”, scrive la testata.
Nel frattempo, Kiev è alla disperata ricerca di fondi per continuare la guerra. "Zelensky all'incontro a porte chiuse di ieri con i deputati del Servo del Popolo ha chiarito che intende combattere fino all'ultimo, ma, ovviamente, per procura", ha affermato il deputato della Verkhovna Rada, Georgy Mazurasu, presente alla riunione privata, citato da Strana.ua.
Tuttavia, secondo Euractiv, le autorità ucraine hanno dichiarato che l'anno prossimo avranno bisogno di almeno 120 miliardi di dollari per combattere, e la stessa cifra sarà necessaria per mantenere le loro forze armate, anche se il conflitto finirà.
Kiev ha approvato una bozza di bilancio per il prossimo anno che include importi record per la difesa, con un deficit previsto del 18,4% del PIL, ovvero circa 2,4 trilioni di grivne con stime del FMI che vedono un ulteriore incremento di 1,1 trilioni di grivne.
Allo stesso tempo, l'Ucraina spende il 31% del suo PIL in guerra, circa 5,1 trilioni di grivne all'anno, mentre il bilancio militare della Russia è di 13,5 trilioni di rubli, ovvero 6,7 trilioni di grivne.
Kiev può coprire solo la metà di questa somma attraverso tasse e prestiti interni, e il resto ricade sulle spalle degli alleati, scrive The Spectator.
Il quadro per il 2025 incorporava attese di circa 38 miliardi di dollari di aiuti esterni per coprire parte del disavanzo, con accordi già in pipeline con UE, IMF e IBRD, e con il tassello critico dei proventi dagli asset russi congelati a fare da potenziale cuscinetto.
Eventuali ritardi o riduzioni in questi flussi costringerebbero a opzioni interne più dure (entrate aggiuntive/razionamento della spesa) per sostenere la conduzione del conflitto e i servizi essenziali, accentuando i tratti di un’economia di guerra.
Siamo pronti a continuare a pagare per la guerra per procura sulla pelle degli ucraini?
Foto © Imagoeconomica
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