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caruana galizia daphne inuscitaL’oltraggio di Degiorgio, uno dei tre arrestati per l’omicidio della giornalista maltese, tradito da un cellulare rimasto senza credito
di Carlo Bonini e Giuliano Foschini
Il 16 ottobre scorso la giornalista e blogger Daphne Caruana Galizia è stata uccisa a Bidnija, nell’isola di Malta, da una bomba che ha fatto saltare in aria la sua auto. Solo 15 giorni prima aveva presentato denuncia alla polizia dopo aver ricevuto minacce di morte. Caruana Galizia era stata protagonista dell’inchiesta giornalistica “Panama Papers” e stava indagando su scandali di corruzione che coinvolgerebbero anche diversi membri del governo maltese. Per il suo omicidio, la polizia locale ha arrestato tre persone.
La verità sulla morte di Daphne Caruana Galizia è nei dettagli di un’inchiesta che seppellisce con prove granitiche i tre autori materiali del suo omicidio e, nondimeno, significativamente monca, allo stato, di un movente e di un mandante. Ed è dunque ai dettagli, così come riferiti a Repubblica da due diverse fonti qualificate che hanno avuto accesso all’indagine, che è necessario stare. Per quello che dicono. Per quello che logicamente suggeriscono o escludono. A cominciare dal sms che alle 15.30 del 16 ottobre, venticinque minuti dopo la deflagrazione della Peugeot bianca a noleggio su cui viaggia la giornalista, George Degiorgio, l’uomo che ha azionato a distanza l’innesco del tritolo che polverizza l’auto (uno dei tre di cui martedì notte è stato convalidato l’arresto), invia a sua moglie. Il testo, recuperato dalla polizia maltese nella memoria del cellulare della donna, è in lingua inglese. Si legge: "Open a bottle of wine for me, baby", “apri una bottiglia di vino per me, bambina”.
È l’ultimo sfregio su ciò che resta del corpo di una giornalista coraggiosa colpevole di documentare la corruzione sistemica di un Paese nel cuore dell’Unione Europea e della sua classe dirigente ridotte a isola dei pirati. Ed è l’ultimo errore che inchioda il commando che, su commissione, ha accettato di eliminarla. Non è il solo. L’altro, di errore, è sempre di quel pomeriggio del 16. E la mano è ancora quella di George Degiorgio. Poco prima delle 15, mentre suo fratello Alfred e Vincent Muscat (gli altri due arrestati) osservano il tratto di strada che Daphne deve percorrere per rientrare a casa, George, a qualche miglio di distanza, a bordo del suo cabinato alla fonda nelle acque di fronte al porto della Valletta, controlla il telefono cellulare “dedicato” da cui, con un sms, dovrà innescare il tritolo. Alle 2 della notte precedente lo hanno collocato sotto il sedile di guida della Peugeot, aperta grazie a un sistema elettronico che consente lo sblocco della chiusura centralizzata senza che restino tracce dell’effrazione.
Su quella barca, George è pronto a dare l’innesco quando si accorge che non ha credito. E non pensa (o forse lo pensa ma non se ne preoccupa) che quello che sta per fare lo legherà al di là di ogni ragionevole dubbio all’omicidio. Con un secondo smartphone, la cui utenza è intestata a suo nome, chiama un amico dell’azienda dei telefoni maltese e gli chiede una ricarica telefonica da 5 euro sul cellulare da cui deve partire l’sms che polverizzerà l’auto di Daphne. È un’operazione che porta via qualche minuto. Poi, tutto si compie. Il boato chiude una storia cominciata due mesi prima. Quando - così ne riferiscono fonti investigative maltesi - i due fratelli Degiorgio e Muscat cominciano a lavorare al piano che deve eliminare Daphne.
I Degiorgio hanno già lavorato con le autobomba. Perlomeno altre otto volte, se è corretta l’algebra. Perché sono otto i telefonini recuperati nelle acque poco profonde del porto de La Valletta dove George si libera anche di quello utilizzato per eliminare Daphne. I Degiorgio, soprattutto, si muovono con la certezza dell’impunità. Perché solo chi gode di impunità può, come George, risultare disoccupato e avere nel garage di casa una Corvette, un’Audi Q7, e non doversi preoccupare di come mettere assieme il pranzo con la cena. Non hanno alcun interesse diretto a eliminare Daphne, perché Daphne di loro non ha mai scritto né si è mai occupata. Lavorano dunque su commissione. Di un intermediario - è convinta la polizia maltese - che consenta al mandante di eliminare ogni legame che lo colleghi all’omicidio. Chi? Jason Azzopardi, deputato nazionalista dell’opposizione, brillante e noto avvocato penalista dell’isola, è il legale della famiglia Caruana Galizia. Dice: "Posso dire solo due cose. La prima: la morte di Daphne è stato uno choc ma non una sorpresa. Era evitabile. Doveva essere protetta. La seconda: l’assenza di qualunque legame tra lei e gli uomini accusati di essere gli esecutori materiali dell’omicidio, fa dire, usando un po’ di logica, che il mandante o i mandanti vadano cercati in quest’isola risalendo la catena che parte da chi l’ha uccisa". È una considerazione tanto elementare nella sua logica quanto condivisibile. Che elimina, allo stato, un’ipotesi, pure accreditata nelle ore successive agli arresti, che mandante e movente dell’omicidio debbano essere cercati nel traffico clandestino di petrolio tra la Libia e Malta (Daphne del resto ne aveva scritto soltanto due volte). E che, al contrario, consiglia di guardare nella messe di cause per diffamazione (e dunque nell’elenco di nemici) che avevano schiacciato Daphne nei suoi ultimi mesi di vita. Erano 47 quelle pendenti negli ultimi quattro anni, da quando il governo laburista si era insediato. E di queste, il 77 per cento erano state promosse da finanziatori ed esponenti del partito laburista, compreso il primo ministro Joseph Muscat, i ministri Konrad Mizzi, Chris Cardona, il capo di Gabinetto del premier, Keith Schembri. Tra queste, una storia del maggio scorso, quando Daphne entra in possesso di uno scambio di mail del premier e del suo capo di Gabinetto su account privati con Christian Kalin, presidente della Henley & Partners, la società inglese che aveva messo in piedi con il Governo la vendita di residenze e passaporti maltesi. In quelle mail il premier e il suo capo di gabinetto davano il via libera all’“aggressione giudiziaria” che avrebbe dovuto trascinare Daphne e qualunque giornalista le fosse andato dietro di fronte alle corti londinesi.

La Repubblica del 7 Dicembre 2017

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