Il presidente ha comunicato la decisione al leader dell'Anp e al re di Giordania. Casa Bianca: "È una questione di quando, non di se". Ira di diplomatici e 007 Usa: “Scherza col fuoco”. Dalla Turchia all'Arabia Saudita cresce l'allerta per la decisione che potrebbe scatenare violente reazioni dei palestinesi. Erdogan: 'Non superi linea rossa'. Critiche Francia e Germania. In serata il parziale dietrofront: "Trasferimento solo tra sei mesi"
Donald Trump si dice pronto a spostare a Gerusalemme l’ambasciata statunitense in Israele. “Non una questione di se, ma di quando”, ha fatto sapere in mattinata la Casa Bianca. Secondo diversi media Usa, l’ufficializzazione della a decisione è attesa per mercoledì, ma nel pomeriggio il presidente degli Stati Uniti ha telefonato al leader dell’Autorità palestinese Abu Mazen, al re di Giordania Abdallah e al presidente egiziano Abdel Fattah Al Sisi ai quali, hanno riferito i rispettivi portavoce, ha comunicato la sua decisione. Dopo diverse ore trascorse senza che la Casa Bianca smentisse i destinatari delle telefonate, nella serata italiana è arrivato il parziale dietrofront: la rappresentanza diplomatica americana in Israele non sarà spostata nella Città Santa prima di sei mesi, riportano fonti dell’amministrazione Usa, sottolineando come Trump firmerà una proroga – consuetudine osservata da tutti gli ultimi presidenti in base al Jerusalem Embassy Act del 1995 – che lascerà la rappresentanza diplomatica almeno per un altro semestre a Tel Aviv. Secondo il New York Times, domani il tycoon riconoscerà invece Gerusalemme come “capitale di Israele“.
Dopo la telefonata con Trump, il presidente dell’Anp ha parlato al telefono con il Papa, con i presidenti di Russia e Francia e con il re di Giordania, e “li ha invitati a intervenire per evitare” che si concretizzi l’intenzione dichiarata dal presidente Usa. Abu Mazen ha sentito anche il presidente russo Vladimir Putin: “Occorre muoversi immediatamente – ha spiegato il leader palesinese, secondo l’agenzia Wafa – per proteggere Gerusalemme e i suoi santuari islamici e cristiani che sono esposti a rischi”. Il Cremlino non si sottrae: “Sosteniamo i colloqui di pace”.
L’annuncio della Casa Bianca ha scatenato reazioni nel mondo arabo. In serata i palestinesi hanno annunciato “3 giorni di collera” da mercoledì a venerdì. Tutte le fazioni palestinesi hanno condannato Trump definendo la sua politica “un ricatto“. “Chiamiamo tutto il nostro popolo in Israele e nel mondo – hanno detto – a raccogliersi nei centri delle città e di fronte alle ambasciate e consolati israeliani con l’obiettivo di portare la generale rabbia popolare“. Il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele “rappresenterebbe una flagrante provocazione per i musulmani in tutto il mondo”, ha detto il re saudita Salman bin Abdulaziz Al Saud a Trump nel corso di una conversazione telefonica, ha fatto sapere l’agenzia ufficiale saudita. Una mossa di questo tipo “prima del raggiungimento di una intesa minerebbe il negoziato di pace in corso e costituirebbe una escalation in tutta la regione”.
Il presidente turco Tayyip Recep Erdogan aveva messo in guardia il “signor Trump” dal “non superare la linea rossa“. L’Egitto, da parte sua, ha avvertito che un annuncio sullo status di Gerusalemme avrebbe “probabili ripercussioni pericolose sulla situazione regionale e il futuro del processo di pace” in Medio Oriente, secondo quanto emerge dal resoconto dato dall’agenzia Mena di un colloquio telefonico svoltosi oggi tra il ministro degli Esteri del Cairo, Sameh Shoukry, e il suo omologo francese Jean-Yves Le Drian. Fortemente critiche anche Francia e Germania. Se Emmanuel Macron si è detto “preoccupato”, secondo il ministro degli Esteri tedesco Sigmar Gabriel la decisione sarebbe “uno sviluppo molto pericoloso“.
La decisione viene fortemente criticata anche agli alti livelli delle istituzioni Usa: “Trump scherza con il fuoco“, hanno fatto sapere fonti del Dipartimento di stato e della comunità di intelligence Usa. Riserve che, unite a quelle espresse da molte cancellerie europee, potrebbero far slittare la decisione. Lo scrive la Cnn citando fonti dell’amministrazione Usa. A provocare un rinvio rispetto ai tempi previsti sarebbe la discussione apertasi all’interno della Casa Bianca in seguito alle pressioni degli alleati, di diversi governi dell’Ue e quelle dei Paesi arabi. In particolare si starebbe valutando come controbilanciare la decisione tenendo conto anche delle istanze dei palestinesi.
La legge di Clinton e il rinvio ogni 6 mesi – Il magnate ha toccato una delle questioni più complicate e spinose del conflitto israelo-palestinese, dopo che Israele ha occupato Gerusalemme est nel 1967 e proclamato tutta Gerusalemme come sua capitale indivisibile, mentre i palestinesi vogliono fare di Gerusalemme est la capitale dello Stato cui aspirano. In realtà la promessa americana di riconoscere la città santa come capitale di Israele è stata fatta in varie forme almeno dal 1992 e nel 1995, sotto l’amministrazione guidata da Bill Clinton, il Congresso ha approvato una legge – il Jerusalem Embassy Act – per spostarvi l’ambasciata entro il 1999, che prevedeva anche la possibilità per la Casa Bianca di rimandare la decisione di sei mesi in sei mesi, così i successivi presidenti di entrambi i partiti vi hanno sempre rinunciato. Anche George W. Bush, che nel 2000 aveva giurato di farlo “non appena entro in carica”. Così gli Usa, come la maggior parte della comunità internazionale, continuano a riconoscere come capitale Tel Aviv. Ora il miliardario newyorkese ha promesso una svolta clamorosa che, se attuata, rischierebbe di ibernare il processo di pace e incendiare il conflitto nella regione.
“Capitale da 3mila anni, non ci facciamo minacciare”
Un intervento che ha provocato la reazione immediata di Israele: “Gerusalemme è la capitale del popolo ebraico da 3mila anni e la capitale di Israele da 70, senza riguardo se sia riconosciuta o meno da Erdogan”, ha ribattuto il portavoce del ministero degli Esteri Emmanuel Nahshon . Affermazione rimarcate dal leader di Yesh Atid, Yair Lapid, il quale ha chiarito che gli israeliani “non si faranno minacciare”.
“Questione di tempo, sempre stato chiaro”
“È stato chiaro sin dal inizio”, ha insistito il vice portavoce Hogan Gidley aggiungendo che “una decisione” verrà resa nota “nei prossimi giorni”. Ma in Medio Oriente la svolta degli Usa viene accolta con timore e scatena esclusivamente reazioni contrarie. All’allarme dello Shin Bet, la polizia israeliana, e il comando centrale dell’esercito si aggiungono le parole di Erdogan, i commenti che arrivano dalla Lega Araba e la frenata di Macron.
Sistema israeliano di difesa in allerta
I media israealiani riportano che il sistema di difesa ha tenuto diverse riunioni in questi giorni e si sta preparando per una “possibile violenta” rivolta palestinese in Israele, principalmente a Gerusalemme, che seguirebbe l’ufficializzazione da parte di Trump di riconoscere la città come capitale dello Stato ebraico o di spostare l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme. I rappresentanti della Difesa hanno sottolineato che le pur dure reazioni della leadership palestinese devono “ancora superare la linea”, ma che questa può essere sorpassata “in un attimo” anche senza l’incoraggiamento dell’Autorità nazionale palestinese.
Erdogan: “Non superi linea rossa”. Macron preoccupato
Mentre l’Eliseo, esprimendo la propria preoccupazione per l’ipotesi del riconoscimento unilaterale, ha ricordato che la questione dello status di Gerusalemme “dovrà essere regolata nel quadro dei negoziati di pace tra israeliani e palestinesi”. E, secondo fonti vicine a Macron, i due hanno convenuto sull’opportunità “di riaffrontare a breve l’argomento”. Ma intanto dalla Turchia e dall’Arabia Saudita arrivano segnali di insofferenza. Per Erdogan, “Gerusalemme è la linea rossa per tutti i musulmani”, quindi il suo riconoscimento come capitale d’Israele potrebbe portare a una “rottura” delle relazioni con lo Stato ebraico. “Signor Trump, non potete prendere una simile decisione”, ha aggiunto rivolgendosi direttamente a Trump. Nell’ottica turca, gli Stati Uniti commetterebbero un “errore fatale” e “una decisione che andrebbe contro gli accordi internazionali, contro le risoluzioni dell’Onu e contro la storia”. La mossa, spiega il portavoce del presidente turco, comprometterebbe “tutti gli sforzi di pace e innescherebbe nuove tensioni e conflitti”.
Arabia Saudita e Lega Araba: “Ripercussioni”
Anche l’Arabia Saudita mette in guardia dalle possibili ripercussioni. Per il principe Khalid bin Salman, ambasciatore saudita a Washington citato dalla tv satellitare al-Arabiya, “qualsiasi annuncio sullo status di Gerusalemme prima che si arrivi a una soluzione della questione comprometterebbe il processo di pace e aumenterebbe le tensioni nella regione”. Il principe Khalid bin Salman ha poi insistito sulla “politica” del regno “a sostegno del popolo palestinese“. Mentre una nota ufficiale di Riad avvisa che la mossa “irriterebbe i sentimenti del mondo musulmano”. E il segretario generale della Lega Araba, Ahmed Abul Gheit, nel corso del suo intervento alla riunione d’emergenza della Lega Araba dedicata a Gerusalemme, convocata per “inviare un chiaro messaggio agli Stati Uniti” sul fatto “che adottare questa pericolosa misura avrà conseguenze e ripercussioni”, ha avvertito che “una decisione come questa” da parte degli Usa “porrà fine al ruolo statunitense come mediatore credibile nel patrocinare una soluzione tra i palestinesi e la forza d’occupazione” israeliana, così come “porrà fine a qualsiasi chance concreta di rilanciare un processo politico significativo tra palestinesi e Israele”.
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