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Fabio e Filippo Galassi, padre e figlio di 63 e 25 anni, sono in prigione nel paese centroafricano dalla primavera del 2015. Stanno scontando una pena per numerosi reati fiscali dopo essere finiti al centro di una controversa vicenda giudiziaria. La signora Strippoli, madre del ragazzo: "Politica e istituzioni mi hanno lasciata sola"

galassi fabio filippo

di Federico Marconi
"Sono più di due anni che non vedo mio figlio. Senza una soluzione dovrò aspettarne altri diciannove prima di poterlo riabracciare. È orribile, Filippo deve tornare a casa". C’è tanta amarezza quanta tenacia nelle parole di Carla Strippoli mentre racconta la vicenda di cui sono protagonisti il figlio, Filippo Galassi, e l’ex marito Fabio, che sono stati condannati rispettivamente a 21 e 33 anni di carcere in Guinea Equatoriale per reati fiscali. I due Galassi, semplici dipendenti dell’azienda per cui lavoravano, la General Work, sono stati al centro di una vicenda giudiziaria ambigua e controversa.

Padre e figlio si sono trasferiti nel 2010 nel paese centroafricano, uno dei più ricchi del continente per Pil pro capite, ma anche uno dei più corrotti: come scrive la Ong Human Rights Watch, lì “la corruzione è una forma d’arte”. La Guinea Equatoriale è governata ininterrottamente dal 1979 dal presidente-dittatore Teodoro Obiang e la sua famiglia è stata più volte accusata di arricchirsi sulle spalle dello Stato. Per fare solo un esempio il figlio di Teodoro, Teodorin, è stato condannato il 27 ottobre 2017 a tre anni di carcere da una corte francese per riciclaggio, abuso di beni sociali, appropriazione indebita, abuso di fiducia, corruzione, per somme pari ad almeno 100 milioni di euro.

obiang teodorin

In Guinea Fabio e Filippo Galassi erano dipendenti della General Work, impresa del settore edile, di proprietà dell’italiana Annamaria Moro e della famiglia del presidente Obiang. Fabio Galassi si era trasferito nel paese centroafricano nel 2010. Lavora prima per il governo guineano, poi nel dicembre 2010 viene assunto dall’impresa della signora Moro, di cui diventa compagno di vita e braccio destro negli affari. Allora invita il figlio Filippo a raggiungerlo: lo farà poche settimane dopo.

Nella primavera del 2015 Filippo e Fabio vengono arrestati con l’accusa di voler fuggire dal paese con una valigia piena di soldi. Accusa falsa: nelle valigie c'erano solamente effetti personali e tremila euro in contanti. Padre e figlio passano due mesi nel carcere di Bata prima di vedersi formalizzare le accuse. E sono tutte molto pesanti: bancarotta, appropriazione indebita, sottrazione fraudolenta di beni, corruzione, truffa e riciclaggio di denaro. Dopo sei mesi di processo, il 18 gennaio 2016 Filippo e Fabio sono stati condannati dalla Corte suprema guineana a 21 e 33 anni di reclusione.

La signora Strippoli non si dà pace. "Mio figlio e il mio ex compagno erano due semplici dipendenti, non avevano nessuna quota dell’azienda" afferma mentre racconta di due anni di battaglie per farli uscire dal carcere, delle telefonate che ogni tanto riesce ad avere con il figlio, dei suoi continui appelli rivolti al ministero degli Esteri. Ed è convinta: "Filippo e Fabio sono due vittime sacrificali cadute in un gioco più grande di loro. Se ripercorre tutta la vicenda, si può rendere conto di tutte le cose che non tornano" afferma la signora Strippoli, "chiami Daniel. Anche lui ha vissuto quell’inferno, le potrà dire tutto".

Daniel Candio, 25 anni, è un amico di Filippo. Ha lavorato come responsabile delle risorse umane per la General Work dal febbraio 2012 al marzo 2015. Il 24 giugno 2015 è stato arrestato dalla polizia guineana e ha passato tre mesi in carcere prima di venire totalmente scagionato dalle stesse accuse rivolte ai due Galassi. "Fabio e Filippo mi hanno chiamato a dicembre del 2011, chiedendomi se ero interessato ad andare a lavorare con loro. Sono partito qualche mese dopo" dichiara Candio all’Espresso. Racconta della situazione critica in cui si trovava la General Work: pochi soldi in cassa e tanti stipendi da pagare. "Con molta fatica siamo riusciti a risanare l’azienda" continua "abbiamo ripreso a pagare gli stipendi ogni mese, le cose sembravano andare per il meglio".

Almeno fino all’autunno 2014. Con la crisi petrolifera che colpisce il paese, la situazione precipita. "Il governo, che era il nostro principale committente, ha smesso di pagare le commesse e noi abbiamo dovuto sospendere nuovamente il pagamento degli stipendi". La General Work però prova a resistere: "I dipendenti si fidavano di Fabio e l’azienda continuava a lavorare".

La fiducia viene meno con il passare dei mesi. Ed è allora che iniziano i guai per i Galassi. A inizio 2015, Fabio si trovava in vacanza in Italia con Annamaria Moro, la proprietaria dell’azienda che all’epoca dei fatti era la sua compagna. Lui decide di tornare in Guinea per pagare i dipendenti e provare a risolvere i problemi dell’azienda. Lei preferisce rimanere in Italia. "Quando Fabio le ha detto che sarebbe tornato in Africa, la signora Moro gli ha risposto: “Se vuoi vai, ma io rimango qui”" afferma Candio. Un comportamento che Daniel non si spiega: "Fabio e la signora Moro avevano un rapporto molto stretto. Oltre a lavorare, vivevano insieme. Lei era molto gelosa, non lo lasciava mai solo. Forse sospettava qualcosa".

Annamaria Moro è la proprietaria delle quote di maggioranza della General Work. Aveva ereditato l’azienda dal marito, Igor Celotti, morto in circostanze misteriose in un incidente aereo in Guinea il 21 giugno 2007. Dopo la morte di Celotti, le quote dell’azienda passano non solo nelle mani della vedova, ma anche in quelle della famiglia del presidente guineano Teodoro Obiang. "Obiang e la Moro avevano un buon rapporto. Si vedevano spesso" afferma Daniel Candio. Un’amicizia nata con il tempo e rafforzatasi dagli affari in comune: "Il presidente guineano aveva quote sia della General Work, sia del gruppo Rangerbourg (altra società di Annamaria Moro). Noi eravamo in tutto e per tutto un’impresa statale: i soldi che utilizzavamo venivano dal governo".

obiang teodoro

A marzo le cose però si mettono male. "Fabio viene arrestato con l’accusa di voler fuggire dalla Guinea con valigie piene di soldi. I magistrati gli dicevano: “Lo Stato ha pagato l’impresa, i soldi per gli stipendi li avete ricevuti dal governo. Lei e Moro ve ne siete appropriati e fatti uscire dal paese”. Galassi però aveva dei documenti che dimostravano il contrario. Ma quando è riuscito a scagionarsi hanno cambiato l’accusa in bancarotta fraudolenta. Una follia: né l’azienda né i creditori avevano mai presentato un’istanza di fallimento" ricorda Candio.

"Io volevo tornare in Italia, ma non me la sentivo di lasciare Filippo da solo: gli era stato tolto il passaporto, non poteva lasciare il paese per il solo fatto di essere un testimone. Lì funziona così. Io ho deciso di rimanere con lui. Per me più che un amico è un fratello. Ci conoscevamo da una vita. In Guinea poi lavoravamo nello stesso ufficio, condividevano l’appartamento, uscivamo insieme. Come potevo abbandonarlo?". Candio rimane così nel paese centroafricano, ma presto iniziano i guai anche per lui: "Il 24 giugno mi chiamano in tribunale perché c’era un’udienza con il signor Galassi. Un poliziotto e due funzionari ministeriali mi dicono di accompagnarlo a prendere dei documenti a casa".

La casa però era sottoposta a sequestro. "Alla porta c’erano dei sigilli e il poliziotto ci ha fatti entrare dalla finestra. Dopo un’ora vediamo arrivare gli avvocati dell’accusa, alcuni dipendenti della General Work, dei militari, la televisione. C’erano addirittura dei ministri del governo Obiang".

Era scattata una trappola. "Galassi venne accusato di voler evadere e io di essere suo complice. Così hanno arrestato anche me. La televisione mandò in onda un servizio in cui Galassi usciva dalla finestra, dicendo che era stato fermato mentre tentava di fuggire dalla polizia. Tutte falsità". In carcere Fabio e Daniel vengono raggiunti anche da Filippo: "Lo arrestarono al supermercato mentre faceva la spesa. Anche lui venne accusato di complicità e di voler scappare dal paese". Daniel Candio, Fabio e Filippo Galassi vengono accusati di reati fiscali: "Appropriazione indebita, truffa, bancarotta. Reati su reati di cui non eravamo assolutamente colpevoli". I magistrati dopo tre mesi si rendono conto di non avere nulla su Daniel, e a ottobre 2015 lo scagionano.



I due Galassi invece rimangono in carcere. L’accusa li considera i responsabili della crisi dell’azienda: avevano trovato dei documenti in cui compariva la loro firma e questa, secondo loro, provava il fatto che erano i due a dirigere la General Work. Candio però li smentisce: "Né Fabio né Filippo erano nel consiglio di amministrazione della General Work. Filippo era un dipendente qualsiasi. E anche Fabio, nonostante fosse il braccio destro della Moro. Lei gli diceva spesso: “Sei qui solo per lavorare. Il giorno in cui non mi servi più, puoi benissimo tornartene in Italia”".

La signora Moro sembra essersi disinteressata alla sorte dei due Galassi. E Candio non capisce il perché: "Annamaria era la compagna di Fabio, anche se dopo il suo arresto lo ha negato. In Guinea vivevano insieme, io e Filippo andavamo spesso a casa loro. Aveva un ottimo rapporto con entrambi. Sarebbe bastato una sua dichiarazione al processo per alleggerire la loro posizione". Dichiarazione che non è mai arrivata. L’Espresso ha provato a contattare Annamaria Moro per chiederle un commento sulla vicenda dei Galassi, ma senza successo.

Fabio e Filippo vengono così condannati a 33 e 21 anni dal tribunale guineano. La corte d’appello ha confermato la sentenza, e le richieste di grazia presentate al presidente guineano Teodoro Obiang non hanno ricevuto risposta. Anche la Farnesina si è mossa, ma le iniziative diplomatiche portate avanti dalla diplomazia italiana non hanno sortito alcun effetto. "La situazione qui è molto complicata" afferma all’Espresso il console italiano in Guinea Equatoriale Massimo Spano "e l’assenza di un ambasciatore fisso rallenta di molto le iniziative della diplomazia".

Anche Spano ritiene che i due Galassi siano finiti in un tranello: "Fabio e Filippo sono un capro espiatorio, perché tramite loro il governo può tenere buona l’opinione pubblica, che dà la colpa della crisi economica del paese agli imprenditori stranieri. Ma soprattutto tranquillizza così i lavoratori della General Work, che continuano a protestare per ottenere i salari arretrati". C’è di più, secondo Spano "Fabio ha pestato i piedi a qualche autorità importante: c’è tutta la storia dei video che sono usciti fuori e che hanno trovato nel suo computer". In queste riprese, pubblicate dal giornale guineano Diario Rombe, si vedono alcuni esponenti della politica e della magistratura del paese centroafricano mentre chiedevano – e ricevevano – soldi in cambio di favori a Fabio Galassi. "Fabio e Filippo la stanno pagando anche per questi video" afferma Spano "hanno infastidito alcune autorità della Guinea. Adesso gliela stanno facendo pagare".



Il console Spano è impegnato da due anni nelle manovre della diplomazia italiana per trovare una soluzione alla vicenda dei due Galassi. "Ma è tutto molto complicato" afferma il console "i tempi sono molto lunghi. In Guinea equatoriale non è presente un’ambasciata italiana. L’ambasciatore ogni volta deve venire dal Camerun e aspettare che qualcuno del governo lo riceva. Ma possono passare anche settimane: fanno fare molta anticamera qui".

L’Espresso ha contattato il responsabile dell’Unità di crisi per gli italiani all’estero, Luigi Vignali, per sapere in che modo il Ministero degli Esteri si è impegnato e s’impegnerà per far liberare Fabio e Filippo Galassi. Vignali al momento ha preferito non rispondere, in attesa di avere "qualche elemento più certo sulla situazione del Paese" dopo le elezioni legislative dello scorso 12 novembre. Elezioni che sono state – così come dal 1979 a questa parte – un plebiscito per il Partito democratico del presidente Teodoro Obiang, che ha ottenuto il 98 per cento dei voti.

Nonostante tutto, Carla Strippoli – sostenuta dalla sorella di Fabio Galassi, Patrizia, e dall’avvocato Massimiliano Sammarco – sta cercando di smuovere il più possibile le acque per far accendere i riflettori sulla vicenda di Filippo e Fabio. "Abbiamo scritto all’ambasciatore guineano in Italia e presso la Santa Sede. Abbiamo scritto alle ambasciate spagnole, al ministero degli Esteri, persino all’Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri Federica Mogherini. Ma in due anni tutto è rimasto immobile, perché?" si chiede la signora Strippoli "un ragazzo di 25 anni dovrà passare altri 19 anni in galera senza aver commesso alcun reato. Perché a nessuno interessa fare giustizia?".

espresso.repubblica.it

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