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di Federico Anghelé
Il 2017 potrebbe essere l'anno della svolta nella lotta alla corruzione. La prossima settimana Montecitorio sarà chiamato a votare la proposta di legge a tutela di chi segnala corruzione e illeciti sul posto di lavoro, nel settore pubblico come in quello privato, provvedimento di recente approvato al Senato da un'ampia maggioranza trasversale dopo uno stallo di oltre 600 giorni.

Se alla Camera verrà confermata la stessa composita maggioranza (le forze di governo più Mdp e Sinistra italiana, con l'aggiunta del Movimento 5 Stelle, a cui si deve la proposta), l'Italia potrebbe finalmente dotarsi di una legge che tuteli i whistleblower, presidio fondamentale per prevenire la corruzione sul posto di lavoro. Questo termine inglese, per ora privo di una efficace traduzione in italiano, indica letteralmente chi suona il fischietto (to blow the whistle) segnalando frodi o illeciti a cui assiste sul posto di lavoro.

Nonostante il ruolo importantissimo svolto dai whistleblower nel far emergere corruzione e illegalità, le tutele su cui essi possono contare sono attualmente limitate se non inesistenti. Forme di protezione si rendono indispensabili perché chi segnala illeciti sul posto di lavoro corre il rischio di gravi ritorsioni che vanno dal demansionamento al mobbing fino al licenziamento.

La lunga paralisi al Senato ha se non altro consentito di negoziare un testo migliorato rispetto a quello votato da Montecitorio che, seppur perfezionabile, potrà davvero garantire protezione a chi oggi si espone per segnalare illeciti. Un risultato ottenuto anche grazie alla mobilitazione della società civile che, con la campagna #vocidigiustizia di Riparte il futuro e Transparency International Italia ha portato il whistleblowing sui media e nelle piazze: il 13 settembre le due organizzazioni hanno tenuto una performance davanti al Pantheon, cui ha preso parte anche il presidente dell'Anac Raffaele Cantone, che ha aggiunto la sua firma alle oltre 65.000 raccolte in poco più di un anno.

Il testo emendato dal Senato introduce alcune significative novità: in primis il cosiddetto rovesciamento della prova, per cui sarà a carico del datore di lavoro dimostrare che la ritorsione subita dal lavoratore-whistleblower non è in alcun modo conseguenza della segnalazione. Altro miglioramento, l'eliminazione dal testo del concetto di buona fede: non verrà lasciata al giudice la discrezionalità di valutare la condizione soggettiva (la buona fede) in cui il segnalante ha effettuato la denuncia, bensì solo la validità dell'oggetto della segnalazione. Il focus dovrà quindi essere posto sulla rilevanza dell'informazione portata a conoscenza dal whistleblower e non invece sulle ragioni che lo hanno condotto a segnalare.

Anche il quadro sanzionatorio è stato rivisto: da una parte con l'aumento dell'ammenda amministrativa nei confronti di chi mette in pratica misure discriminatorie nei confronti del segnalante; dall'altra con l'introduzione di un nuovo illecito destinato a colpire, nel settore pubblico, i responsabili anticorruzione che non svolgano le dovute indagini a seguito della segnalazione. Infine, il provvedimento approvato dal Senato ha fatto un passo avanti significativo nel sancire il divieto a rivelare l'identità del segnalante sia nel procedimento disciplinare, sia in quello contabile e penale.

Non è solo l'Italia a rivedere finalmente le proprie leggi in favore dei whistleblower: negli ultimi mesi le istituzioni europee si sono mostrate particolarmente attive nel riconoscere il determinante contributo dei segnalanti nel prevenire la corruzione. Una recente analisi pubblicata dalla Commissione Europea ha dimostrato che nei Paesi che hanno messo in piedi un apparato normativo che tuteli chi segnala illegalità e corruzione i costi sono ben inferiori ai vantaggi economici derivanti dalle segnalazioni stesse.

Lo studio stima infatti in una cifra compresa tra i 5.8 e i 9.6 miliardi di euro i vantaggi potenziali derivanti da una effettiva ed efficace protezione dei whistleblower a livello continentale. Dati tanto più rilevanti considerando un sondaggio dell'Eurobarometro del 2014 secondo il quale ben 3 europei su 4 testimoni di illeciti o corruzione non avrebbero fatto denuncia.

Per rispondere ai giustificati timori di ritorsioni da parte di cittadini potenzialmente onesti, le istituzioni europee stanno cercando di correre ai ripari. A fronte dell'attivismo già da tempo dimostrato dal Parlamento di Strasburgo, ora sembra muoversi anche la Commissione europea, che per la fine del 2017 ha promesso di rendere pubblici i dati di un'analisi continentale che valuti l'impatto di una regolamentazione sulla protezione dei whistleblower estesa a tutti i Paesi membri della Ue. La valutazione d'impatto viene subito dopo una consultazione pubblica lanciata la scorsa primavera che ha ottenuto risultati davvero sorprendenti: oltre 5.000 soggetti hanno partecipato, molti dei quali privati cittadini che considerano evidentemente la protezione dei whistleblower una battaglia prioritaria che l'Unione Europea dovrebbe affrontare presto.

In attesa che la Commissione europea sveli il suo piano, il Parlamento ha votato a maggioranza il 24 ottobre un rapporto che - seppur non vincolante - ribadisce la necessità di una protezione a livello continentale che non riguardi solo specifici ambiti professionali o settori economici, ma che sia orizzontale e tuteli tutti quei lavoratori che oggi, facendo il loro dovere nell'interesse pubblico, rischiano di subire torti e ritorsioni.

Un'indagine condotta da Demopolis per Riparte il futuro a settembre 2017 conferma su scala nazionale quanto già emerso a livello europeo: il 52% degli italiani fra i 18 e i 40 anni ritiene la tutela del dipendente pubblico o privato che segnala illeciti sul posto di lavoro uno degli strumenti più importanti per prevenire e combattere la corruzione. Il 51% dei soggetti intervistati dichiara inoltre che denuncerebbe sicuramente un tentativo di corruzione alle forze dell'ordine, mentre il 30% lo farebbe probabilmente: appare chiaro come una legge a tutela dei whistleblower creerebbe i presupposti per fare emergere sempre di più i casi di corruzione e per creare una cultura della legalità diffusa.

huffingtonpost.it

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