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Il premio per la Pace all’Ican, che promuove il Trattato per abolire le armi atomiche
di Giuseppe Sarcina
WASHINGTON.
Pochi minuti prima dell’annuncio a Ginevra squilla il telefono nell’ufficio di Beatrice Fihn, 37 anni, segretario esecutivo di Ican, International Campaign to abolish nuclear weapons. È una chiamata da Oslo: avete vinto il Premio Nobel per la Pace 2017.

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«Pensavo fosse uno scherzo», dirà più tardi Fihn ai giornalisti, per poi twittare: «Questo è surreale». Fino a ieri Beatrice era un personaggio conosciuto in un giro relativamente ristretto. Il suo account Twitter, per esempio, conta tremila follower: pochi per una figura pubblica. È nata a Goteborg, in Svezia. Si è laureata in relazioni internazionali all’Università di Stoccolma e in legge a Londra. Si è sempre occupata di disarmo: prima nella Lega internazionale delle donne per la pace e la libertà, poi al Centro studi della politiche per la sicurezza di Ginevra.

Dal 2014 dirige Ican, una rete che raggruppa 468 organizzazioni non governative radicate in 101 Paesi. Un movimento, questa è la motivazione del Premio, che ha avuto un ruolo trainante e «innovativo» nell’elaborazione del Trattato per l’abolizione degli ordigni atomici. Il negoziato si è chiuso all’Onu il 7 luglio del 2017, con la partecipazione di 135 Paesi. Tuttavia diventerà vincolante per i sottoscrittori solo se e quando sarà ratificato da almeno 50 Paesi. Per il momento lo hanno fatto solo tre Stati: Guayana, Vaticano e Thailandia, anche se le firme di accettazione sono 53.

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Il problema è che le potenze atomiche, i padroni delle 15 mila testate nucleari del mondo, dagli Stati Uniti alla Cina, non hanno aderito. E nemmeno tutti i Paesi Nato, Italia compresa. «Ma questo premio non è un calcio negli stinchi a nessuno», dice Beirt Riss Andersen, avvocata, iscritta al partito laburista, presidente del Comitato norvegese che assegna il Nobel. Sta rispondendo alla domanda di un giornalista: «Avete voluto mandare un segnale a Donald Trump?». Nel discorso ufficiale, Beirt Riss Andersen, aveva sottolineato «la minaccia crescente» della corsa all’atomica, citando esplicitamente la Corea del Nord e invitando «le grandi potenze nucleari, Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna a proseguire il cammino da loro avviato con il Trattato di non proliferazione nucleare firmato nel 1968». Nelle salette dell’Ican i toni e le parole sono diverse. Beatrice, con al fianco il marito Will Finh Ransal, offre la sua la sua interpretazione: «L’elezione di Donald Trump ha aumentato il rischio nucleare. Il presidente americano e il leader nordcoreano Kim Jong-un devono fermarsi. Devono sapere che le armi nucleari sono illegali, minacciarne l’uso è illegale, svilupparle è illegale. Dobbiamo puntare al disarmo nucleare universale». È probabile che sarà questo il discorso che Beatrice farà l’11 dicembre, quando ritirerà il riconoscimento a Oslo. Solo pochi giorni fa, il 4 ottobre, con un tweet aveva sottoscritto il giudizio sul presidente degli Stati Uniti attribuito al Segretario di Stato, Rex Tillerson: «Donald Trump è un deficiente».

Corriere della Sera

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