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bignone reynaldodi Filippo Fiorini
Quando il capo dell’intelligence cilena «Mamo» Contreras fece la sua proposta ai colleghi dei servizi segreti sudamericani, disse che voleva creare «un’Interpol anti-sovversiva». Era il 1975, il mondo era diviso dalla Guerra Fredda. In Argentina, Cile, Uruguay, Brasile, Paraguay e Bolivia governavano i militari e ci si voleva metter d’accordo per dare la caccia ai ribelli di sinistra, senza che le frontiere fossero un intralcio.
Di lì ai primi anni Ottanta, quegli stessi apparati di spionaggio avevano rapito, torturato e ucciso almeno 105 persone, nell’ambito di un’offensiva che portò a migliaia di morti in tutto il continente e operazioni segrete all’estero, tra cui una bomba a Washington e una sparatoria nel centro di Roma.
Il processo per questi fatti, concluso venerdì a Buenos Aires, è parte di un’istruttoria iniziata nel ’99. Per riassumere tutti gli illeciti di quello che fu chiamato «Piano Condor», il PM ha impiegato 21 mila pagine e tentato di imputare quattro ex capi di Stato. Per due di loro, il dittatore cileno Pinochet e l’omologo paraguaiano Stroessner, non si ottenne mai l’estradizione, e per un terzo, l’argentino Jorge Videla, la vita si è conclusa prima del verdetto.
Nonostante gli intralci, si è arrivati a comminare 227 anni di prigionia, da dividere tra 14 ex militari argentini e un uruguaiano. La peggior parte, 25 anni, è toccata a quest’ultimo, l’ex «Agente 303» Manuel Cordero, che i giudici hanno messo sullo stesso piano di un’altra spia specializzata in rapimenti, Miguel Angel Furci, e dell’ex comandante del IV corpo dell’Esercito, Santiago Riveros, già condannato all’ergastolo in Italia per l’uccisione di nostri connazionali a Buenos Aires.
Meglio è andata a Reynaldo Bignone (in foto). L’ultimo generale a essersi seduto da presidente alla Casa Rosada ha ricevuto 20 anni da sommare a 8 precedenti condanne per delitti di lesa umanità. Il fatto è che, sebbene il figlio di una delle vittime abbia urlato: «Adesso marcirete in carcere, assassini», nessuno è stato concretamente processato per omicidio. Lo impediva un tecnicismo giuridico e le imputazioni più gravi sono state associazione a delinquere, tortura e sequestro.
Non si è nemmeno dimostrato il coinvolgimento della Cia e il valore della sentenza sta soprattutto nel cosiddetto «diritto alla verità». D’altra parte, in Italia i crimini del condor tengono ancora alla sbarra altri 32 imputati.

La Stampa del 29 maggio 2016

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