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La corsa degli Stati Uniti per aumentare la produzione di munizioni da 155 mm, fondamentali per sostenere l’Ucraina nel conflitto contro la Russia, sta rallentando. Secondo quanto riportato dal sito specializzato Defense One, il Pentagono è ben lontano dal raggiungere l’ambizioso obiettivo di 100.000 proiettili d’artiglieria al mese entro ottobre 2025. Dal 2022, l’industria militare statunitense è riuscita ad aumentare la produzione fino a 40.000 unità mensili, ma restano fuori portata sia i 60.000 proiettili promessi per ottobre 2024, sia i 75.000 previsti per aprile 2025. L’obiettivo finale, fissato a quota 100.000, appare sempre più irraggiungibile nei tempi previsti.
Per colmare il gap produttivo, Washington ha investito quasi 5 miliardi di dollari, destinati principalmente alla modernizzazione di vecchi impianti risalenti alla Seconda Guerra Mondiale e alla costruzione di nuove strutture. Eppure, le difficoltà strutturali restano gravi. Una delle principali criticità riguarda la carenza di componenti fondamentali, tra cui la dinamite, che non viene più prodotta negli Stati Uniti dal 1986. In passato, buona parte di questo materiale veniva importato dalla Russia e da altri Paesi, oggi però esclusi dal mercato per ragioni geopolitiche. La notizia solleva interrogativi sulla capacità dell’apparato industriale americano di reggere a un conflitto prolungato e ad alta intensità, come quello in corso in Ucraina. Allo stesso tempo, mostra quanto le catene di approvvigionamento globali, su cui per anni si è fondata l’efficienza produttiva occidentale, rappresentino oggi un punto di vulnerabilità strategica.
Nel frattempo, altri Paesi si stanno muovendo per colmare il divario. Alcuni, come la Corea del Sud, stanno espandendo le proprie capacità produttive per diventare fornitori alternativi. Altri, invece, si preparano ad affrontare un nuovo scenario internazionale in cui il primato militare degli Stati Uniti non è più scontato. 

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