Il presidente del tribunale di Palermo: "La riforma mi sembra basata su analisi datate almeno 10 anni"
“Nel momento in cui magistrati e avvocati stanno ancora cercando di assimilare le tante novità e anche criticità della riforma Cartabia, si paventano altre novità con il rischio di destabilizzare se non di paralizzare la macchina giudiziaria”. A dirlo è il presidente del tribunale di Palermo Piergiorgio Morosini, commentando a Il Fatto Quotidiano la riforma della giustizia che sta conducendo il Guardasigilli Carlo Nordio. Una delle “novità” previste dal pacchetto del ministro che critica Morosini, ex giudice per le udienze preliminari, riguarda “l’introduzione di tre giudici per l’applicazione delle misure cautelari, a fronte di serie carenze di organico. Pensiamo ai distretti con forte presenza del crimine organizzato”.
La misura prevede inoltre che per alcuni reati l’interrogatorio avvenga prima. Si tratta, anche questa, di “una novità che dovrebbe evitare le ingiuste detenzioni. Questa riforma, però, trascura le norme già in vigore. Parlo, ad esempio, delle leggi del 2013 e del 2015 finalizzate a rendere più stringenti i requisiti dell’arresto. È bene evidenziare che il nostro ordinamento prevede già la garanzia del giudice collegiale, ossia il Tribunale del Riesame, che interviene a pochi giorni dell’arresto qualora la difesa faccia ricorso.
Alla domanda se la nuova norma sia ideologica, Morosini ha risposto.
“Bisogna fare attenzione alle velleità teoriche incapaci di reggere davanti al principio di realtà, in considerazione degli attuali organici e delle oggettive difficoltà di reclutare tanti magistrati in soli due anni”.
E rispetto all’abrogazione voluta dal ministro del reato di abuso d’ufficio, aspramente criticata da ANM e diversi magistrati, Morosini ha commentato: “Come sulle misure cautelari e sulle intercettazioni, la riforma mi sembra basata su analisi datate almeno 10 anni”. “In materia di abuso d’ufficio - ha continuato - non dobbiamo trascurare gli effetti della riforma del 2020, che ha trovato un punto di equilibrio tra le esigenze di garanzia e l’interesse dello Stato a contrastare efficacemente favoritismi e nepotismi nell’esercizio delle pubbliche funzioni. La sensazione è che ci sia un progressivo sfilacciamento dei presidi a tutela del regolare svolgimento delle attività della P.A. Il pubblico ufficiale potrà impunemente piegare la sua funzione a interessi privati per sé o per persone a lui vicine”.
Tornando alle intercettazioni, per cui il ddl vieta al magistrato o al giudice di indicare, nel provvedimento di misure restrittive, quelle che non riguardano le parti indagate se non indispensabili per le motivazioni, il presidente del Tribunale di Palermo ha spiegato che “il problema della tutela della privacy è già stato risolto dalla riforma Orlando-Bonafede che vieta la pubblicazione di intercettazioni ritenute irrilevanti e stralciate. Quella soluzione è stata in grado di bilanciare la tutela della reputazione delle persone con le esigenze investigative e il diritto di cronaca su fatti di interesse pubblico, come ha ricordato il Garante della privacy. L’ulteriore filtro previsto dalla riforma, a cui lei si riferisce, fa sì che il provvedimento del giudice sarà sottoposto al controllo non solo delle fisiologiche impugnazioni delle parti, ma anche dalle eventuali contestazioni di terzi, estranei al processo, qualora siano citati nel provvedimento. Questo inciderà - ha concluso Morosini - sulla serenità del giudice che potrebbe auto censurarsi producendo provvedimenti incompleti”.
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