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La sentenza di assoluzione per 29 imputati sancisce che Banca Ubi, diventata poi il terzo più grande gruppo bancario del Paese, nacque da una fusione in un contesto di 'sana' finanza di relazione che vedeva protagonisti finanzieri bresciani e bergamaschi, senza nessun patto illecito come ipotizzato dalla Procura. L'indagine sfociata nel processo chiuso con una sola condanna era partita nel 2014 con la presentazione di alcuni esposti da parte dell'Adusbef e di alcuni consiglieri di minoranza, finalizzati a verificare presunti fatti illeciti connessi alla gestione. Iniziato come un atto d'accusa ai vertici in carica e padri fondatori del gruppo bancario italiano per i reati di illecita influenza sull'assemblea sociale e ostacolo agli organi di vigilanza si è trasformato, nel lento trascorrere della giustizia e con l'incorporazione di Ubi in Banca Intesa, come un processo a un pezzo di 'storia' recente della finanza di relazione, in particolare a uno dei banchieri italiani di maggior caratura, Giovanni Bazoli.
Nel mirino della Procura di Bergamo anche l'amministratore delegato Victor Massiah, il presidente Andrea Moltrasio, i vicepresidenti Mario Cera, Flavio Pizzini e Armando Santus, i consiglieri Francesca Bazoli e Pierpaolo Camadini. Tutti non più in carica e tutti assolti. Lo scenario in cui maturò la vicenda era quello della fusione tra la BPU Banca - Banche Popolari Unite e Banca Lombarda e Piemontese, in cui sarebbero emersi, secondo l'accusa, l'ostacolo alle autorità di vigilanza (Banca d'Italia e Consob) e quello di influenza illecita sulle decisioni dell'assemblea. I fatti risalgono al 2013, un'epoca in cui Bazoli aveva lasciato il ruolo di consigliere Ubi da un anno anche se, per la Procura, avrebbe continuato a influire sulla sua governance. In particolare, per quanto riguarda l'accusa di ostacolo alla vigilanza, la Procura ipotizzava un presunto patto parasociale tra l'associazione Ablp dei soci bresciani (con Bazoli referente) e la bergamasca Amici di Ubi Banca (con a capo Zanetti). Al bergamasco Emilio Zanetti e al bresciano Giovanni Bazoli, all'epoca presidente emerito di Banca Intesa San Paolo, era contestato di avere organizzato, gestito e diretto questo patto occulto che avrebbe garantito ai due gruppi di potere, quello bergamasco e quello bresciano, un dominio assoluto sulla banca in spregio ai diritti degli azionisti di minoranza. In un suo intervento nel marzo del 2018 durante il lungo processo, il pm Fabio Pelosi aveva affermato: "Siamo di fronte a un gruppo bancario di dimensione nazionale, le cui scelte strategiche () venivano assunte anche da chi non avrebbe potuto, come il professor Bazoli", che ricopriva ufficialmente "il ruolo di presidente del gruppo bancario Intesa Sanpaolo, società in concorrenza con il gruppo Ubi".

Foto © Imagoeconomica

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