Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Viene considerato il Buscetta calabrese, doveva deporre al maxiprocesso Rinascita-Scott

Pino Scriva, primo storico pentito della 'Ndrangheta calabrese di Rosarno, è morto ieri all’età di 75 anni.
La notizia è ripiombata nell'aula bunker di Lamezia Terme dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia, dove si sta celebrando il maxi-processo nato dall'operazione antimafia Rinascita-Scott, per voce del pubblico ministero della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, Antonio De Bernardo che, unitamente alla collega Annamaria Frustaci, ed al procuratore Nicola Gratteri, ne avevano chiesto l'esame. Ora verranno invece acquisiti i verbali con le sue dichiarazioni. Nato in una famiglia mafiosa impegnata negli anni '50 e '60 in una faida con le famiglie rivali dei Cunsolo e dei Cannizzaro, Pino Scriva era passato alla storia negli anni '70 come "re delle evasioni", per l'abilità nel riuscire a fuggire dal carcere. Il 27 ottobre 1983 arrivò la clamorosa decisione di collaborare con la giustizia in un tempo in cui il pentitismo era un miraggio, specie in Calabria, facendo scattare una poderosa operazione antimafia in tutta la regione con centinaia di arresti, nota come "Mafia delle tre province". Le sue dichiarazioni sono confluite anche nella retata del 1984 contro il clan guidato all'epoca dal boss Francesco Mancuso di Limbadi (Mancuso + 199). Pino Scriva è stato il primo pentito calabrese a svelare organigrammi e riti della 'Ndrangheta, svelando anche i rapporti inconfessabili coltivati negli anni da clan potenti come i Piromalli di Gioia Tauro, i De Stefano di Reggio ed i Pesce di Rosarno con uomini delle istituzioni. La sua ultima deposizione risale al 2 luglio del 2018, quando al processo 'Ndrangheta stragista, a Reggio Calabria, sul patto scellerato tra Cosa nostra e le famiglie calabresi per esportare il terrorismo mafioso dalla Sicilia nel Continente, pronunciò una frase attraverso cui offriva all’aula il senso che aveva di sé: “Se si chiama ’Ndrangheta - disse, rispondendo al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo - è perché l’ho detto io”. Sempre in quell’occasione riferì di aver ricevuto il “Medaglione o Associazione, che sono la stessa cosa. Fino al 1982 - precisò - queste erano le doti più alte”. “L’Associazione - spiegò ai pm di Catanzaro - era il vertice della 'Ndrangheta che interveniva e prendeva decisioni, quando si discuteva di questioni che riguardavano tutti gli appartenenti di tutti i paesi o si dovevano fare omicidi importanti”.

Collaborazione di primissimo piano
Scriva riuscì nelle sue dichiarazioni a corroborare il compendio indiziario a carico di Luigi Mancuso, il Supremo, il Crimine, il capo dei capi della 'Ndrangheta vibonese portato alla sbarra nel maxiprocesso in corso nell’aula bunker di Lamezia Terme: “Ricordo che nella 'Ndrangheta contava di più Luigi Mancuso, per i suoi rapporti con i Piromalli, per i quali aveva fatto molti omicidi. In quegli anni Peppe Piromalli decise la morte di molte persone. Luigi Mancuso aveva rapporti più stretti specialmente con Peppe Piromalli. Già negli anni ’80 la sua collaborazione fu determinante per gli inquirenti tanto da vedersi attribuita la comparazione a Tommaso Buscetta. Il 26 febbraio 1994, il presidente della Corte d’Assise di Palmi Giacomo Foti, nei motivi della sentenza del processo contro la Mafia delle tre province, ne sottolineò la “fluidità complessiva del racconto, perfettamente compatibile con il contesto spazio temporale in cui i fatti narrati risultano riferiti, sia per la lucidità delle argomentazioni costantemente opposte a tutte le osservazioni, le puntualizzazioni, le proteste, anche le aggressioni verbali che talvolta hanno caratterizzato, nel corso di lunghi e spesso estenuanti interrogatori ed accesi confronti, lo scontro dibattimentale con gli imputati. Nulla è valso a farlo cadere in contraddizione sui punti fondamentali del racconto, a spezzarne la lucida coerenza dei riferimenti; stimolato, anzi, dai suoi contradditori, egli ha fornito ulteriori occasioni di positive verifiche”.

ARTICOLI CORRELATI

Il pentito Pino Scriva: ''Procuratore Tuccio mi disse di non nominare Filippone''

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos