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Non valido l'accordo con Lubiana. "Bisogna accogliere la domanda d'asilo"


Migranti malmenati ed espulsi al confine Viminale condannato

Prendere un essere umano sulla linea di confine, un disgraziato migrante che viene dal lontano Pakistan, maltrattarlo, fregarsene della sua richiesta di asilo politico, e consegnarlo alla vicina Slovenia, non si può fare. Anche se è quanto prevede un accordo bilaterale del 1996. Anche perché il poveretto nel giro di poco tempo sarà depositato alla frontiera con la Croazia. E da lì, a calci e bastonate, ributtato in Bosnia. Nel terribile campo di Lipa. Oppure nelle fabbriche abbandonate di Sarajevo. Là dove per il momento si ferma questo infernale gioco dell'oca che si chiama Rotta balcanica.
Una coraggiosa sentenza del tribunale di Roma ha accolto il ricorso di un cittadino pachistano M. Z. a cui è accaduto di essere fermato dalla polizia italiana nel luglio 2020. Avrà la possibilità di presentare in Italia una domanda di asilo. Ma la sentenza ha un valore molto più largo e incisivo: si condanna il nostro ministero dell'Interno perché la prassi dei «rimpatri informali» verso la Slovenia è considerata illegittima. Anche se formalmente era possibile, in quanto risalente a ventiquattro anni fa, nel frattempo sono subentrate convenzioni internazionali, direttive europee, leggi nazionali. Ed è sempre più chiaro che un respingimento, senza la possibilità di presentare asilo politico, non è lecito.
Il nostro ministero dell'Interno contesta però questa ricostruzione. «Non è verosimile il racconto del ricorrente». Al Viminale non intendono rinunciare alle riammissioni informali. «Noi le accettiamo da Francia e Austria; non si capisce perché non si possano fare verso la Slovenia, che è un Paese della Ue e aderente a Schengen». La ministra Luciana Lamorgese porrà il problema in sede europea perché sia reso esplicito il principio che esiste una fascia di tempo e di luogo prima di considerare che una persona abbia formalmente varcato un confine. Oppure che non può spettare all'Italia valutare il trattamento in Slovenia o in Croazia di un migrante, ma semmai a organi europei.
Il racconto del cittadino pakistano raccolto dal giudice è comunque scioccante. Tutto ha inizio in Friuli, subito dopo che l'uomo e alcuni compagni di viaggio hanno varcato il confine. «Erano stati portati in una stazione di polizia - ricostruisce l'ordinanza della giudice Silvia Albano - dove gli erano stati fatti firmare alcuni documenti in italiano, gli erano stati sequestrati i telefoni ed erano stati ammanettati, poi caricati su un furgone e portati in una zona collinare (evidentemente sul confine sloveno) e intimati, sotto la minaccia di bastoni, di correre dritti davanti a loro, dando il tempo della conta fino a 5. Dopo circa un chilometro erano stati fermati dagli spari della polizia slovena». Dalla Slovenia alla Croazia, fino alla Bosnia, in poche ore. Sono i cosiddetti respingimenti a catena. Ma si violano leggi e convenzioni. «La riammissione informale - si legge - non può mai essere applicata nei confronti di un RICHIEDENTE ASILO (maiuscolo nella sentenza, ndr), senza provvedere a raccogliere la domanda, con una prassi che viola la normativa interna e sovranazionale».

Foto © Imagoeconomica

Tratto da: La Stampa del 22 Gennaio 2021

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