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La disciplina del decreto 'antiscarcerazioni', come integrato dalla legge di conversione, "non abbassa in alcun modo i doverosi standard di tutela della salute del detenuto, garantiti dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo anche nei confronti dei condannati ad elevata pericolosità sociale, compresi quelli sottoposti al regime penitenziario del 41-bis". Lo scrive la Consulta nelle motivazioni della sentenza, depositata oggi e scritta dal giudice costituzionale Francesco Viganò, spiegando i motivi per cui vengono ritenute infondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal tribunale di sorveglianza di Sassari e dai magistrati di sorveglianza di Spoleto e di Avellino rispetto al dl messo a punto dal Governo nel maggio scorso a seguito delle scarcerazioni di boss legate all'emergenza Covid e convertito con la legge approvata in giugno.
"La legge sull'ordinamento penitenziario - osserva la Corte - da tempo affida al magistrato di sorveglianza il compito di anticipare, in situazioni di urgenza, i provvedimenti definitivi del tribunale di sorveglianza sulle istanze di concessione di misure extramurarie per ragioni di salute, sulla base anche di documentazione acquisita direttamente dal magistrato e non conosciuta dalla difesa".
La stessa situazione, aggiunge, "si verifica oggi nel procedimento di rivalutazione disciplinato dalla normativa ora in esame, funzionale ad attribuire al magistrato la possibilità di revocare in via provvisoria e urgente la detenzione domiciliare già concessa, in modo da mantenere sempre aggiornato il bilanciamento tra l'imprescindibile esigenza di proteggere la salute del detenuto e le altrettanto fondamentali ragioni di tutela della sicurezza pubblica, legate alla particolare pericolosità di questa tipologia di detenuti".
In un altro passaggio la Corte Costituzionale osserva come con il provvedimento "il diritto di difesa del condannato potrà esplicarsi pienamente nell'ambito del procedimento davanti al tribunale di sorveglianza, destinato a concludersi nei trenta giorni successivi all'eventuale provvedimento di revoca, nel quale il difensore avrà completa conoscenza dei documenti e dei pareri acquisiti".
Infine si osserva che "la legge non intende esercitare alcuna indebita pressione sul giudice che ha in precedenza concesso la detenzione domiciliare e mira unicamente ad arricchire il suo patrimonio conoscitivo su possibili opzioni alternative intramurarie, in grado di tutelare in modo ugualmente efficace la salute del condannato".

Foto © Imagoeconomica

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