Tra i condannati anche Improta ed il Questore di Palermo Cortese
Il terzo collegio del tribunale di Perugia, presieduto da Giuseppe Narducci, ha condannato per sequestro di persona sei dei sette imputati coinvolti nel processo per l'espulsione di Alma Shalabayeva, avvenuta nel maggio 2013.
Per il capo d'accusa più grave - sequestro di persona commesso da pubblico ufficiale - sono stati condannati Renato Cortese, allora capo della Squadra mobile di Roma e attuale questore di Palermo, Luca Armeni, Francesco Stampacchia, Maurizio Improta, ex dirigente dell'ufficio immigrazione e oggi a capo della Polizia ferroviaria, Stefano Leoni e Vincenzo Tramma. Cadute alcune accuse di falso, mentre altre sono rimaste in piedi. In particolare Importa e Cortese sono stati condannati a 5 anni di carcere e interdetti in maniera perpetua dai pubblici uffici.
Gli altri poliziotti coinvolti nella vicenda, Vincenzo Tramma e Stefano Leoni, sono stati condannati rispettivamente a 4 anni e 3 anni e 6 mesi. Stefania Lavore, l'allora giudice di pace che si occupò del caso Shalabayeva, è stata condannata a invece due anni e sei mesi, per vari episodi di falso ma non per sequestro di persona. Diversi reati di falso sono stati riconosciuti a vario titolo anche a tutti gli altri imputati. Tramma e Leoni sono stati interdetti dai pubblici uffici per 5 anni, la Lavore per 2 anni e 6 mesi.
Un dispositivo che prevede pene raddoppiate rispetto alle richieste dal pm Massimo Casucci.
"Leggeremo le motivazioni e faremo appello come è giusto che sia", ha affermato l'avvocato Ali Abukar Hayo, difensore di Maurizio Improta. "Qui si parla di un reato di sequestro di persona. Il problema per noi è il fondamento del fatto stesso. Noi riteniamo di aver dimostrato che non sussistono elementi del fatto così come ha ritenuto invece il Tribunale", ha sottolineato il difensore dopo la lettura della sentenza.
Prima che i giudici entrassero in camera di consiglio si era tenuta l'arringa dei legali di Renato Cortese: "Ogni singolo capo di imputazione contestato a Cortese non sussiste, ha sempre onorato il servizio". E poi ancora: "Per Renato Cortese che Alma Shalabayeva rimanesse in Italia, fosse trattenuta o espulsa, erano questioni che per lui si possono definire assolutamente irrilevanti. Il suo interesse - ha detto in quell'udienza l'avvocato Franco Coppi, difensore dell'ex capo della Squadra Mobile di Roma - era un altro, quello di catturare una persona che oggi da tutti viene indicata come un martire ma che, in quel momento, venne segnalato da tutti come un pericoloso delinquente, una persona che ha rapporti con terroristi, se non terrorista lui stesso, accusato di avere commesso reati patrimoniali di rilevante entità". Cortese è l'uomo "che ha catturato Giovanni Brusca, Pietro Aglieri, Salvatore Grigoli, Bernardo Provenzano - aveva ricordato l'altro difensore di Cortese l'avvocato Ester Molinaro - Ogni singolo capo di imputazione contestato a Cortese non sussiste. Le condotte e i fatti che gli vengono contestate non configurano reato e comunque non li ha commessi". La Corte è stata di altro avviso, riconoscendogli delle responsabilità. Dopo la sentenza, tramite il proprio avvocato Astolfo Di Amato, anche Alma Shalabayeva. "Nel mio Paese non sarebbe andata così", ha commentato. Shalabayeva vive a Roma con i due figli piccoli e non era in aula quando è stato letto il dispositivo, si è detta "molto colpita dall'indipendenza della giustizia che è uguale per tutti".
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