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di AMDuemila
La Corte Suprema di Cassazione ha confermato le condanne emesse in appello, con oltre 50 anni di carcere nei confronti di sette imputati facenti parte del clan Spada di Ostia, per vari reati con l'aggravante mafiosa. Con il suo verdetto, la Seconda sezione penale della Cassazione ha convalidato la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Roma nel dicembre 2018. L’udienza si è svolta ieri mattina con le dovute misure di sicurezza, vista l’emergenza sanitaria Covid-19, con il rispetto della ‘lunga distanza di sicurezza’ e indossando le mascherine per difendersi dal contagio.
Elemento centrale del processo era il racket delle case popolari nel quartiere litoraneo della capitale, nella zona di Ostia Ponente. In particolare, la Suprema Corte ha respinto il ricorso di Massimiliano Spada (13 anni e 8 mesi di carcere), Ottavio Spada (5 anni), Davide Cirillo (6 anni e 4 mesi), Mirko Miserino (6 anni e 4 mesi), Maria Dora Spada (7 anni e 4 mesi), Massimo Massimiani (11 anni) e Manuel Granato (6 anni e mezzo). A vario titolo, le accuse comprendevano minacce e violenze, come gli sfratti forzosi da alloggi popolari e una gambizzazione, estorsione e tentata estorsione.
Secondo l’accusa i fatti si sono compiuti al fine di affermare la 'supremazia' del clan sul territorio di Ostia, utilizzando il modo tipico dei gruppi mafiosi.
L’inchiesta era nata dall'agguato a Massimo Cardoni, detto 'Baficchio', ferito con due colpi di pistola nell'ottobre 2015 davanti a un supermercato di Ostia.
Gli inquirenti capirono che dietro il movente che si nascondeva dietro quella gambizzazione c'era la contrapposizione tra il clan emergente degli Spada e la perdente compagine dei Baficchio-Galleoni. Vennero alla luce vicende di sfratti forzosi dalle case popolari, minacce e intimidazioni varie.

Foto © Imagoeconomica

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