L’ex senatore di Ala è stato presidente per vent’anni dell’istituto fiorentino: confermata la condanna anche in appello per bancarotta
di Marco Gasperetti
FIRENZE. Condanna bis per Denis Verdini. Anche la Corte di appello di Firenze ha riconosciuto colpevole di bancarotta per il crac del Credito cooperativo fiorentino l’ex senatore di Ala e l’ha condannato a sei anni e dieci mesi di carcere. I giudici di primo grado avevano inflitto all’ex parlamentare una condanna a nove anni.
La sentenza è arrivata dopo tre ore di camera di consiglio. Due imprenditori, Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei, sono stati condannati a cinque anni e dieci mesi beneficiando anche loro di una riduzione della pena rispetto al processo di primo grado. Accolti i patteggiamenti per l’ex dg della banca Pietro Italo Biagini a 3 anni e 10 mesi (in primo grado aveva avuto 6 anni per bancarotta) e per altri membri del cda e del collegio dei revisori dei conti a 1 anno e 8 mesi.
Verdini era accusato aver sottratto un fiume di denaro con complicati raggiri alla banca di cui era presidente. Nella requisitoria i procuratori generali Luciana Singlitico e Fabio Origlio avevano chiesto otto anni di carcere. La difesa (avvocati Franco Coppi ed Ester Molinaro) si erano battuti per l’assoluzione con formula piena. Durante le udienze di appello ci sono stati momenti di grande tensione e all’ultima udienza Denis Verdini, in lacrime, aveva proclamato la propria innocenza. «Ho dato me stesso per quella banca, non è vero che volevo farla fallire», aveva detto rivolgendosi ai giudici. Nel processo di primo grado, il pm aveva definito l’ex senatore un dominus che usava il Credito cooperativo «come un bancomat personale per concedere prestiti e finanziamenti, anche sulla base di contratti di compravendita di immobili ritenuti fittizi agli amici», in particolar modo ai costruttori Bartolomei e Fusi alla costante e disperata ricerca di soldi. Insomma, l’esempio di un rapporto malato tra imprese e sistema bancario.
Il credito cooperativo era diventato «la banca del presidente», e i sindaci revisori, che mai si opponeva alle sue decisioni, altri non erano che «tutti gli uomini del presidente», ovvero di Denis Verdini. Così come erano atipiche le imprese editoriali studiate «per ottenere contributi pubblici», quelli appunto delle provvidenze sull’editoria considerate illegali. La difesa di Verdini, sostenuta dagli avvocati Franco Coppi ed Ester Molinaro, ha invece sempre parlato di processo viziano da pregiudizi «È bastato il nome di Verdini, purtroppo, per la colpevolezza», hanno sempre sostenuto. Quasi certamente la difesa farà ricorso in Cassazione.
Tratto da: corriere.it
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