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ardita sebastiano da stampaliberadi Nuccio Anselmo
È rimasto a Messina quasi sei anni il magistrato Sebastiano Ardita. E ha messo la sua firma su tutte le più importanti, coraggiose e clamorose inchieste che la Procura ha gestito, a cominciare da quei filoni d’indagine sui “Corsi d’oro”, il mondo della formazione professionale in Sicilia, che hanno pesantemente coinvolto la galassia politico-familiare dell’on. Francantonio Genovese. Da ieri mattina però è ufficiale che la quinta commissione del Csm ha proposto, con voto unanime, Sebastiano Ardita come procuratore aggiunto a Catania. L’attuale procuratore aggiunto di Messina concorre quindi per il posto lasciato vacante da Michelangelo Patanè, che è andato in pensione. La nomina scatterà dopo il voto del “plenum” del Csm e il successivo “visto” del ministro della Giustizia Andrea Orlando. La permanenza dell’aggiunto Ardita a Messina potrebbe però prolungarsi di qualche mese, in considerazione del fatto che sta seguendo con altri suoi colleghi della procura peloritana alcune inchieste-chiave. Come l’indagine “Beta” sull’emersione della cellula messinese della mafia etnea, oppure la “Tekno” sulla gestione degli appalti al Consorzio autostrade siciliane, quella su MessinAmbiente o sui rapporti tra ateneo e mafia.


Una sua recente intervista su temi molto caldi in questo periodo è stata rilanciata dall’agenzia Ansa. Eccone alcuni stralci.
«Falcone da semplice giudice istruttore manteneva rapporti con le istituzioni americane: oggi sarebbe impensabile; le sue iniziative erano spesso invise ai vertici, che lo sommergevano di “processetti”. Se fosse stato intruppato nella gerarchia e da essa paralizzato, non sarebbe esistito nulla di ciò che ci ha tramandato», ha dichiarato Ardita. Commentando la bozza di circolare del Csm che aumenta i poteri dei procuratori ha affermato: «Su strategie e priorità nel contrasto ai fenomeni criminali è giusto che decida il capo. Altro conto sono le decisioni ultime nel caso concreto, per le quali la Costituzione garantisce autonomia e indipendenza a ogni magistrato». Nel lavoro quotidiano i cambiamenti dipenderebbero a suo avviso «dai dirigenti degli uffici. Quelli più autorevoli e capaci – ancora ne esistono – usano il carisma per ottenere consenso sulle loro iniziative. Chi non possiede queste doti potrebbe uniformare al proprio volere i sostituti riducendoli al ruolo di collaboratori, come cancellieri». «Il nostro gruppo certamente non la voterà», ha poi detto.
«Se davvero tutti gli altri fossero favorevoli ci sarebbe un problema politico enorme con la base dei magistrati». L’attacco a Davigo per la sua partecipazione a una trasmissione tv? C’è «l’idea che sulla giustizia si vorrebbe far parlare solo i politici. Il problema è che i cittadini devono sapere perché la giustizia va male, e i magistrati hanno il diritto di sottrarsi al ruolo di capri espiatori». Anche nei talk show «se può servire a capovolgere affermazioni totalmente inesatte». Ardita condivide l’appello del Presidente della Repubblica contro i magistrati che considerano la toga un abito di scena. «Da soli non si va da nessuna parte; ma non bisogna dimenticare neppure chi è stato lasciato solo».

Fonte: Gazzetta del Sud

Tratto da: stampalibera.it

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